Censimento delle architetture italiane dal 1945 ad oggi

TENUTA VINICOLA MANINCOR

Scheda Opera

  • vista esterna
  • Vista interni, dettaglio scala
  • Vista del volume dedicato alle vendite
  • Vista
  • Comune: Caldaro sulla strada del vino
  • Denominazione: TENUTA VINICOLA MANINCOR
  • Indirizzo: San Giuseppe al Lago N. 4
  • Data: 2001 - 2004
  • Tipologia: Edifici per attività agricole
  • Autori principali: Walter Angonese
Descrizione

Il concetto “edificare nella continuità” si applica perfettamente al contesto di Manincor e chiarisce l’atteggiamento che si cela dietro questo progetto: cioè l’accettazione di quanto si è trovato e l’osservazione dialettica di ‘storia illuminata e paesaggio amato’. Qui, in questo luogo benedetto, il compito richiedeva di essere legittimabile anche da un punto di vista politico-sociale.
Architettura contemporanea, quindi, non come approccio astratto fine a se stesso, ma calata nel contesto della sua contemporaneità: pensiero contestuale al di là delle dimensioni geografiche e storiche e, contemporaneamente, osservazione concettuale, attinente all’oggetto. È un’architettura vissuta e sofferta: tre anni di lavoro e riflessione su e con il vino.
La tenuta storica (che poco dopo la sua costruzione, nel 1608, ha avuto a che fare anche con una contessa Enzenberg) doveva essere ampliata e servire alla vinificazione, allo stoccaggio (max 300.000 bottiglie dai 45 ha dei migliori vigneti di Terlano e Caldaro) alla vendita e anche alla “comunicazione” della tenuta Manincor. Ma il paesaggio, il luogo e la storia – vista sicuramente in modo critico ma sempre rispettoso – della tenuta e dei suoi protagonisti esigeva un approccio cauto (e con ‘cauto’ lasciamo ad ognuno libertà di interpretazione). Infatti, anche se i vini Enzenberg vengono vendemmiati da 400 anni, bevuti a corte e altrove, per Michael Goëss-Enzenberg, Manincor rappresentava un nuovo inizio e l’ampliamento della cantina poteva, e doveva, comunicarlo eloquentemente. Per questo Michael oltre ad essere conte, committente e viticultore è anche (con Angonese, Köberl e Boday) il quarto ‘architetto’.
Ne è nato un progetto che dà espressione a interessanti parallelismi: da una parte le idee del conte e il suo atteggiamento molto esigente nei confronti del “wine making”, dall’altra l’esigenza degli architetti rispetto al luogo, al contesto e alla contemporaneità.
Il risultato - soprattutto in relazione all’architettura contemporanea delle cantine, dove spesso a essere in primo piano è la teatralità - è un’architettura che è meno “scenografia” e più “segno autentico”. Nonostante questo anche qui sono presenti riflessioni scenografiche, mostrate ‘apertamente’ all’ingresso e nell’ingresso.
La nuova cantina è stata inserita nel vigneto ad est della dimora esistente e riprende tutti i vantaggi topografici di questo luogo. Il paesaggio, infatti, non doveva essere modificato, bensì re-interpretato (30.000 metri cubi non si possono nascondere!) e per questo solo singole parti della costruzione affiorano in superficie e – parlando in senso tipologico – “edificare nella continuità” facendo riferimento alla struttura di base. Sono lo spazio per la vendita dei vini, quello per la loro degustazione vini e gli accessi, tutti correlati al paesaggio vitivinicolo circostante in virtù delle loro funzioni. Il percorso che porta al vigneto soprastante (detto “Kreuzleiten”), la visione interna e il panorama, definiscono il concetto di spazio, strutturano la costruzione e ne stabiliscono l’esposizione. Nascono corrugamenti e pareti inclinate, non per una volontà dichiarata di forme, bensì come reazione alla topografia. Nella ‘cantina nel vigneto’ il paesaggio dovrebbe essere palpabile e un esigente concetto statico evidenzia ancor di più questa tensione. La costruzione sotterranea permette inoltre di sfruttare il potenziale geofisico. Il riempimento e il ripristino delle viti, per esempio, oltrepassa la dimensione di cosmesi del paesaggio: isola, inumidisce e chiarisce la destinazione d’uso “... una cantina è una cantina è una cantina” (a rose is a rose is a rose, Gertraud Stein). Allo stesso modo i vani di stoccaggio e fermentazione per il vino si trovano proprio dove devono essere, nella profondità della terra e si collegano con le antiche cantine. Lì, il clima è più stabile e il vino ha la pace che gli serve. Un corridoio perimetrale di umidificazione e ventilazione consente (avvalendosi delle tecnologie contemporanee)
un approvvigionamento ottimale di umidità e una temperatura stagionale stabile. Un’altra massima degli architetti (e non solo per questa costruzione) è che l’architettura deve essere “occupabile” e la presenza di microrganismi (muffe delle cantine), di una patina proiettata e l’uso in senso lato, rientrano in questo concetto, rivendicando dialetticamente complessità e materializzazione, tettonica, spazio e luce, fenomenologia e pensiero semantico. Siamo lontani dall’architettura da salotto (la bella barriquerie per il visitatore): qui ogni vano deve essere quel che è. Cemento pregiato, concepito appositamente, che si colorerà in qualche modo e in qualche tempo di grigiobeige come la dimora; semplicissimi sistemi di rivestimento, di alto livello e impiegati in modo diverso e per mezzo di piccoli “tricks and fakes” non chiaramente definibili come tali; parti arrugginite di acciaio, non per la contemporaneità ma perché rappresentano la migliore conservazione; parti costruttive nere, che dovrebbero scomparire come a teatro (e come nell’esistenzialismo francese); una buona luce, artificiale e naturale; legno solo dove è sensato, per uno scaffale oppure per le botti; un concetto botanico per il rinverdimento. Questi ingredienti dovrebbero essere sufficienti per rendere appetitoso questo piatto unico e per riscattare l’incarico architettonico. E poi in primo piano ci devono essere i vini di Manincor e non la costruzione! Infine un’ultima osservazione: la geotermica e il legname dei boschi della proprietà renderanno Manincor meno dipendente dai combustibili fossili e dagli umori della politica internazionale – l’indipendenza dei nostri giorni – e la tenuta rimarrà così come era stata concepita all’inizio del XVII sec., una creatura autarchica con cantine, stalle, granai, e forni da pane. Si voleva “edificare nella continuità” e speriamo di esserci riusciti. (Angonese Walter)

Info
  • Progetto: 2001 - 2001
  • Esecuzione: 2001 - 2004
  • Committente: conte Michael Goëss-Enzenberg
  • Proprietà: Proprietà privata
Autori
Nome Cognome Ruolo Fase Progetto Archivio Architetti Url Profilo Autore Principale
Profax Progetto Impianti Esecuzione NO
Tecnobase Progetto strutturale Esecuzione NO
Atzwanger Progetto Impianti Esecuzione NO
Raffeiner Progetto strutturale Esecuzione NO
Furodur Collaboratore Esecuzione NO
Eccli & Partner Computista Progetto NO
Walter Angonese Progetto architettonico Progetto http://www.angonesewalter.it/ SI
AT&E Studio Tecnico Progetto Impianti Progetto NO
Auroport Impresa esecutrice Esecuzione NO
Barth Innenausbau Interni Collaboratore Esecuzione NO
Spiluttini Bau Impresa esecutrice Esecuzione NO
Felbermayr Bau Progetto strutturale Esecuzione NO
Bauplus Impresa esecutrice Esecuzione NO
Bergmeister Direzione lavori Progetto NO
Klotz Beton Progetto strutturale Esecuzione NO
Artur Datz Collaboratore Esecuzione NO
Roland Dellagiacoma Consulente Progetto NO
Friedrich Fischnaller Impresa esecutrice Esecuzione NO
Ingenieure Felderer & Klammsteiner Progetto Impianti Progetto NO
Halotech Lichtfabrik Progetto illuminotecnico Esecuzione NO
Loko Collaboratore Esecuzione NO
Elektro Pernthaler Progetto Impianti Esecuzione NO
Köberl Rainer Progetto architettonico Progetto NO
Franz Semlitsch Consulente Progetto NO
Boday Silvia Collaboratore Progetto NO
Erik Steinbrecher Consulente Progetto NO
Franz Stockinger Collaboratore Esecuzione NO
Christian Thaler Collaboratore Esecuzione NO
  • Strutture: Cemento armato
  • Materiale di facciata: Cemento armato a vista e acciaio Cor-ten
  • Coperture: Calcestruzzo armato e terra a viticoltura
  • Serramenti: Porte in Accaio Cor-ten
  • Stato Strutture: Ottimo
  • Stato Materiale di facciata: Ottimo
  • Stato Coperture: Ottimo
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Architettura contemporanea, quindi, non come approccio astratto fine a se stesso, ma calata nel contesto della sua contemporaneità: pensiero contestuale al di là delle dimensioni geografiche e storiche e, contemporaneamente, osservazione concettuale, attinente all’oggetto. È un’architettura vissuta e sofferta: tre anni di lavoro e riflessione su e con il vino.
La tenuta storica (che poco dopo la sua costruzione, nel 1608, ha avuto a che fare anche con una contessa Enzenberg) doveva essere ampliata e servire alla vinificazione, allo stoccaggio (max 300.000 bottiglie dai 45 ha dei migliori vigneti di Terlano e Caldaro) alla vendita e anche alla “comunicazione” della tenuta Manincor. Ma il paesaggio, il luogo e la storia – vista sicuramente in modo critico ma sempre rispettoso – della tenuta e dei suoi protagonisti esigeva un approccio cauto (e con ‘cauto’ lasciamo ad ognuno libertà di interpretazione). Infatti, anche se i vini Enzenberg vengono vendemmiati da 400 anni, bevuti a corte e altrove, per Michael Goëss-Enzenberg, Manincor rappresentava un nuovo inizio e l’ampliamento della cantina poteva, e doveva, comunicarlo eloquentemente. Per questo Michael oltre ad essere conte, committente e viticultore è anche (con Angonese, Köberl e Boday) il quarto ‘architetto’.
Ne è nato un progetto che dà espressione a interessanti parallelismi: da una parte le idee del conte e il suo atteggiamento molto esigente nei confronti del “wine making”, dall’altra l’esigenza degli architetti rispetto al luogo, al contesto e alla contemporaneità.
Il risultato - soprattutto in relazione all’architettura contemporanea delle cantine, dove spesso a essere in primo piano è la teatralità - è un’architettura che è meno “scenografia” e più “segno autentico”. Nonostante questo anche qui sono presenti riflessioni scenografiche, mostrate ‘apertamente’ all’ingresso e nell’ingresso.
La nuova cantina è stata inserita nel vigneto ad est della dimora esistente e riprende tutti i vantaggi topografici di questo luogo. Il paesaggio, infatti, non doveva essere modificato, bensì re-interpretato (30.000 metri cubi non si possono nascondere!) e per questo solo singole parti della costruzione affiorano in superficie e – parlando in senso tipologico – “edificare nella continuità” facendo riferimento alla struttura di base. Sono lo spazio per la vendita dei vini, quello per la loro degustazione vini e gli accessi, tutti correlati al paesaggio vitivinicolo circostante in virtù delle loro funzioni. Il percorso che porta al vigneto soprastante (detto “Kreuzleiten”), la visione interna e il panorama, definiscono il concetto di spazio, strutturano la costruzione e ne stabiliscono l’esposizione. Nascono corrugamenti e pareti inclinate, non per una volontà dichiarata di forme, bensì come reazione alla topografia. Nella ‘cantina nel vigneto’ il paesaggio dovrebbe essere palpabile e un esigente concetto statico evidenzia ancor di più questa tensione. La costruzione sotterranea permette inoltre di sfruttare il potenziale geofisico. Il riempimento e il ripristino delle viti, per esempio, oltrepassa la dimensione di cosmesi del paesaggio: isola, inumidisce e chiarisce la destinazione d’uso “... una cantina è una cantina è una cantina” (a rose is a rose is a rose, Gertraud Stein). Allo stesso modo i vani di stoccaggio e fermentazione per il vino si trovano proprio dove devono essere, nella profondità della terra e si collegano con le antiche cantine. Lì, il clima è più stabile e il vino ha la pace che gli serve. Un corridoio perimetrale di umidificazione e ventilazione consente (avvalendosi delle tecnologie contemporanee)
un approvvigionamento ottimale di umidità e una temperatura stagionale stabile. Un’altra massima degli architetti (e non solo per questa costruzione) è che l’architettura deve essere “occupabile” e la presenza di microrganismi (muffe delle cantine), di una patina proiettata e l’uso in senso lato,  rientrano in questo concetto, rivendicando dialetticamente complessità e materializzazione, tettonica, spazio e luce, fenomenologia e pensiero semantico. Siamo lontani dall’architettura da salotto (la bella barriquerie per il visitatore): qui ogni vano deve essere quel che è. Cemento pregiato, concepito appositamente, che si colorerà in qualche modo e in qualche tempo di grigiobeige come la dimora; semplicissimi sistemi di rivestimento, di alto livello e impiegati in modo diverso e per mezzo di piccoli “tricks and fakes” non chiaramente definibili come tali; parti arrugginite di acciaio, non per la contemporaneità ma perché rappresentano la migliore conservazione; parti costruttive nere, che dovrebbero scomparire come a teatro (e come nell’esistenzialismo francese); una buona luce, artificiale e naturale; legno solo dove è sensato, per uno scaffale oppure per le botti; un concetto botanico per il rinverdimento. Questi ingredienti dovrebbero essere sufficienti per rendere appetitoso questo piatto unico e per riscattare l’incarico architettonico. E poi in primo piano ci devono essere i vini di Manincor e non la costruzione! Infine un’ultima osservazione: la geotermica e il legname dei boschi della proprietà renderanno Manincor meno dipendente dai combustibili fossili e dagli umori della politica internazionale – l’indipendenza dei nostri giorni – e la tenuta rimarrà così come era stata concepita all’inizio del XVII sec., una creatura autarchica con cantine, stalle, granai, e forni da pane. Si voleva “edificare nella continuità” e speriamo di esserci riusciti. (Angonese Walter)
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  • Vincolo: Non Vincolata
  • Provvedimenti di tutela: Tutela indiretta
  • Data Provvedimento:
  • Riferimento Normativo: Tutela dei beni storico-artistici p.ed. 498 (Vincolo relativo all'edificio storico adiacente)
  • Altri Provvedimenti:
  • Foglio Catastale: -
  • Particella: 498

Note

Progetto ipogeo, la vigna è stata ripiantata sulla copertura della cantina vinicola dopo l'intervento.

Bibliografia
Autore Anno Titolo Edizione Luogo Edizione Pagina Specifica
2004 Bioarchitettura n.37 Editrice Universitaria A. Weger Bressanone No
Angonese Walter 2006 Cantina Manincor Turris babel n. 69 Bolzano 54-60 Si
Schlorhaufer Bettina 2006 2000-2006 Neue Architektur in Südtirol – Architetture recenti in Alto Adige – New Architecture in South Tirol Springer Wien NewYork Bolzano No

Allegati
File Didascalia Credito Fotografico
vista esterna vista esterna
Vista interni, dettaglio scala Vista interni, dettaglio scala
Vista del volume dedicato alle vendite Vista del volume dedicato alle vendite
Vista Vista

Criteri
2. L’edificio o l’opera di architettura è illustrata in almeno due riviste di architettura di livello nazionale e/o internazionale.
4. L’edificio o l’opera di architettura riveste un ruolo significativo nell’ambito dell’evoluzione del tipo edilizio di pertinenza, ne offre un’interpretazione progressiva o sperimenta innovazioni di carattere distributivo e funzionale.
5. L’edificio o l’opera di architettura introduce e sperimenta significative innovazioni nell’uso dei materiali o nell’applicazione delle tecnologie costruttive.
6. L’edificio o l’opera di architettura è stata progettata da una figura di rilievo nel panorama dell’architettura nazionale e/o internazionale.

Crediti Scheda
Enti di riferimento: DARC
Titolare della ricerca: Università degli studi di Trento Dipartimento di Ingegneria Civile
Responsabile scientifico: Marco Mulazzani


Scheda redatta da
creata il 31/12/2006
ultima modifica il 16/01/2025

Revisori:

Menzietti  Giulia 2021