Censimento delle architetture italiane dal 1945 ad oggi

CENTRO DI SERVIZI SOCIALI E RESIDENZIALI (UNITÀ RESIDENZIALE EST)

Scheda Opera

  • Vista aerea dell’edifico nel centro storico
  • Pianta a quota - 4,65
  • Pianta a quota + 0,80
  • Pianta a quota + 3,30
  • Sezioni BB e EE
  • Vista esterna
  • Vista esterna
  • Vista dell’ingresso principale dalla strada. In primo piano i negozi
  • Vista del parco. In primo piano il cinema sormontato dalla sala conferenze
  • Ingresso principale sulla piazza
  • Dettaglio del fronte con i negozi sospesi e la hall dell’hotel
  • Vista esterna della caffetteria-ristorante
  • Vista interna della caffetteria-ristorante
  • Vista interna della sala conferenze
  • Vista interna del cinema
  • Interno di una cellula duplex. Al primo livello l’accesso alla terrazza e la zona pranzo. Sul fondo la piccola zona studio
  • Pianta e sezione di una cellula duplex
  • Viste delle cellule residenziali
  • Dettaglio che mostra il sistema di apertura delle cellule
  • Dettaglio delle cellule residenziali
  • Dettaglio delle cellule residenziali
  • Vista dell’edificio con in primo piano la sala conferenze
  • Dettaglio delle cellule
  • Interno di una cellula
  • Vista dell’edificio con in primo piano l’ingresso all’auditorium, 2014
  • Vista del fronte con i negozi sospesi e la hall dell’hotel, 2014
  • Ingresso alle residenze, 2014
  • Vista del corpo con auditorium-sala conferenze e cinema, 2014
  • Ortofoto, 2019
  • Comune: Ivrea
  • Denominazione: CENTRO DI SERVIZI SOCIALI E RESIDENZIALI (UNITÀ RESIDENZIALE EST)
  • Indirizzo: Corso Botta N. 30
  • Data: 1967 - 1975
  • Tipologia: Complessi residenziali
  • Autori principali: Iginio Cappai, Pietro Mainardis
Descrizione

1. Opera originaria

«[…] Prima di questo incarico infatti c’era stato chiesto di progettare un residence con le stesse caratteristiche di quello di Gabetti e Isola (l’incarico era contemporaneo). Tanti minialloggi e un locale per il ricevimento e la prima colazione. Ma il nostro posto era diverso, in centro a Ivrea e, vigenti anche i miti (forse pure questi paloni gonfiati) sulla necessità di rivolgere una buona volta l’attenzione agli spazi sociali oltre che logistici (privati e collettivi) di un edifico o di una città, ci si era posto il problema di dare agli utenti un recapito che non fosse solo il soggiorno, il cucinino e la solita camera da letto. Se ne parlò e se ne discusse parecchio finché si arrivò alla convinzione che, concentrando una serie di servizi collettivi, mancanti o deficienti a Ivrea, come centro culturale, cinema, piscina, palestra, ristorante e una serie di piccoli negozi, garantendo poi una presenza qualificata con una serie di minialloggi di alto livello, si sarebbe potuto creare un cento di riferimento per gli abitanti e i non abitanti (che sono tantissimi) di Ivrea.
L’immediata vicinanza del centro storico giocava poi a favore sia del complesso progettato ma anche dello stesso centro, vecchio e impolverato oltre che storico, per via dello sviluppo prevalente della città oltre-Dora e vicino alla fabbrica.
Si sperava cioè che, richiamando una presenza eterogenea vicino a questo centro, se ne riscoprissero le caratteristiche e le vocazioni naturali di centro comunitario e sociale della città.
[…] Dopo discussioni, indagini di mercato... l’impossibilità di “andare ancora avanti” ha coinciso con la proposta di un gruppo alberghiero di avviare il complesso, naturalmente come albergo…
Protestammo lo stesso energicamente, ma con l’“intanto si finisce” si raggiunse l’accordo di fare le modifiche minime e indispensabili e comunque facilmente rimovibili per questo tipo di gestione.
… la tecnica alberghiera […] non chiese gran modifiche edilizie. Chiese però quelle sostanziali: “il pregio di un albergo è di porre confini”. Questo slogan, peraltro indiscutibile, si scontrava con le nostre convinzioni e con i nostri miti che pur malconci cercavamo ancora di sostenere, ma soprattutto si scontrava con la conformazione del nostro edifico, volutamente e forse anche eccessivamente, aperto a una partecipazione pubblica» (Iginio Cappai e Pietro Mainardis, Intenzioni e realtà, in Francesco Tentori, Iginio Cappai, Pietro Mainardis, Gianfranco Eddone, Renzo Zorzi, Tullio Lembo, Ugo De Simoni, Ivrea. Centro di servizi Olivetti, in «Casabella», n. 422, febbraio 1977, pp. 43-44)

«Il primo grosso problema emerso già nei primissimi giorni di lavoro, ha comportato – oltre ad una lunga battuta d’arresto – oneri assai pesanti sia in termini di spesa, che di perdita di superfici utilizzabili. Nella fase iniziale degli scavi di sbancamento sono infatti emersi numerosi resti archeologici, dei quali la Soprintendenza alle Antichità per il Piemonte… ha naturalmente preteso un completo ed accurato rilievo, preliminarmente ad ogni altra decisione.
In sede esecutiva, ciò ha significato eseguire quasi tutti gli scavi a mano […] Si sono persi così circa 1000 metri quadri di superficie utilizzabile, ma il complesso si è arricchito di un importante richiamo storico e culturale che i progettisti sono riusciti ad inserire felicemente nelle nuove strutture edilizie, assicurandone nello stesso tempo anche la migliore conservazione.
Il secondo problema di rilievo è stato quello di individuare uno schema strutturale in grado di adattarsi alla configurazione di un edifico caratterizzato da un’articolazione dello spazio così complessa ed inconsueta (ogni singola unità abitativa è impostata su tre piani, la rete pedonale interna, aperta al pubblico, si sviluppa su sei diversi livelli, ecce.), con tutte le esigenze di continuità dei passaggi, sia degli utenti che delle canalizzazioni impiantistiche. Il problema è stato naturalmente reso più difficile dalla presenza dei reperti archeologici di cui si è parlato […] La soluzione adottata dagli strutturisti – gli ingegneri Antonio Migliasso e Colombo Scomparin, della Sertec s.p.a., di Ivrea – oltre ad adattarsi perfettamente alla configurazione dell’edificio, riesce a divenire spesso parte essenziale anche sotto l’aspetto architettonico. Consiste in una struttura portante principale, costituita da una serie parallela di telai, ad uno o più piani, disposti secondo l’asse longitudinale dell’edificio ed intervallati fra loro di m 5,40. Su questa struttura portante principale si inseriscono poi i vari sistemi strutturali secondari, ciascuno dei quali ha rappresentato un singolo problema, affrontato e risolto attraverso il ricorso ad una gamma diversificata di materiali edilizi (murature, calcestruzzo, acciaio, legno) utilizzati attraverso tecnologie tradizionali e – almeno per edifici civili – non tradizionali (precompressione, tensostrutture). Ne è ovviamente derivata una notevole varietà di tipologie e morfologie strutturali, che se ha comportato indubbie complicazioni nella programmazione e nella organizzazione generale di cantiere, non ha però mai costituito una reale difficoltà operativa.
Il terzo problema importante si è presentato quando gran parte dei lavori erano ormai in fase avanzata di finitura.
Il Centro era stato inizialmente previsto dalla committenza e concepito dai progettisti come una struttura urbana, aperta e complementare rispetto a quella rappresentata dalla città, subita e provocata nello stesso tempo. La accessibilità più completa ne costituiva quindi una caratteristica peculiare: nessun portone, ma ben dodici vie di accesso che attraverso tutta una serie di rampe e passaggi pedonali, variamente intersecantisi ad ogni livello, consentivano un collegamento diretto dall’esterno con gli alloggi, il ristorante, il cinema, la palestra, i negozi, la piscina, i resti archeologici, creando continue occasioni di incontri.
Al momento di prendere decisioni conclusive […] è prevalso il parere prudenziale di una gestione chiusa, di tipo alberghiero, che – pur rispettando l’accessibilità di alcune zone a destinazione inequivocabilmente pubblica – restituisse con la possibilità di opportuni controlli una adeguata “privacy” a tutte le principali funzioni del Centro.
Tradurre in pratica questa decisione ha necessariamente richiesto dei compromessi… si sono trasformati spazi commerciali in hall e servizi alberghieri, si sono interclusi molti tratti di passaggi pedonali, si è dovuto – soprattutto – modificare profondamente le distribuzioni impiantistiche, ed anche integrarle per renderle idonee a sopportare la nuova, non prevista, destinazione.
Si è dunque dovuto svolgere un lento, delicato e costoso lavoro di rimozioni e di inserimenti, di demolizioni e ricostruzioni. Nella generalità dei casi, gli ormai numerosi ospiti dell’albergo hanno giudicato in modo decisamente positivo (e, qualche volta, addirittura entusiastico) i risultati finali ottenuti; rimangono di parere diverso, con i progettisti, tutti coloro che hanno in qualche modo partecipato alla lunga gestazione e realizzazione dell’opera». (Ugo De Simoni. Problemi della realizzazione, in Francesco Tentori, Iginio Cappai, Pietro Mainardis, Gianfranco Eddone, Renzo Zorzi, Tullio Lembo, Ugo De Simoni, Ivrea. Centro di servizi Olivetti, in «Casabella», n. 422, febbraio 1977, p. 57)

«Dotato di attrezzature pubbliche e rapportato alla città tramite percorsi pedonali, spazi verdi, parcheggi, l’edificio rivela la propria natura tecnologica senza enfasi retorica ma anche senza timore del confronto con la storia del centro antico, quale concretizzazione architettonica di un accurato processo progettuale, teso a controllare il disegno dell’edificio fino nei minimi particolari
(Sergio Polano con Marco Mulazzani, Guida all’architettura italiana del Novecento, Electa, Milano 1991, p. 42)

«Costruito a ridosso della città antica, di cui ingloba al suo interno alcuni reperti, l’edificio è una complessa “macchina” per vivere i molteplici modi del privato (60 alloggi) e del sociale (centro culturale con sala cinematografica, aule per conferenze e per esposizioni, centro sportivo con piscina coperta, sauna e palestra, centro commerciale con negozi, ristorante, bar). La pluralità delle funzioni porta ad assemblare i volumi, che conservano la loro individualità plastica e la loro dinamicità, come i tasti e i carrelli di una macchina da scrivere, allusivi alla committenza olivettiana.
Questi si elevano da terra, non ingombrano il piano (originariamente aperto alla collettività), esibiscono le piccole celle abitative, introverse, dove la quota delle aperture non raggiunge l’altezza d’uomo. Si tratta di un’architettura che destabilizza consuetudini acquisite, introducendo nuovi codici di significazione, all’insegna del transitorio, dello straniante. L’habitat minimo dei 60 alloggi che si sviluppano su più piani (ciascuno con gamme cromatiche diverse) è pensato come una cabina di imbarcazione e studiato in ogni minimo dettaglio costruttivo e di arredo. Vivere in movimento, come in una nave, è dunque il significato di questa costruzione, come dimostra anche la sala allungata, con arredo fisso, dotato di sedili e tavoli a scomparsa, le passerelle e le scale metalliche, gli oblò e, soprattutto la bassa quota delle altezze (2.20 negli spazi di transizione). Si tratta dunque di un’architettura fondata su categorie tra loro ossimore: il duraturo e l’effimero, il rigore della macchina alla libera creatività, la gravità strutturale del calcestruzzo armato e dell’acciaio alla leggerezza di materiali duttili, come l’alluminio, declinato in molteplici texture che mimano l’industrial design. Tutto questo in un organismo complesso pensato come una nave-città (esternamente i tasti ricordano anche cellule abitative urbane) con spazi transizionali, che entra in relazione col luogo pubblico, la città di antica fondazione». (Maria Adriana Giusti, Rosa Tamborrino, Guida all'architettura del Novecento in Piemonte (1902-2006), Allemandi, Torino 2008, pp. 187-188)

«La struttura complessa dell’edificio è riconducibile, sul piano concettuale, ai complessi civici e residenziali delle new towns britanniche degli anni cinquanta, come Milton Keynes e Cumbernauld, e, sul piano del linguaggio ai modi dell’architettura radicale degli anni sessanta e settanta, sebbene il progetto, sul piano formale, presenti elementi di forte ambiguità. Da un lato l’edificio sembra fare il verso al prodotto che ha reso la Olivetti famosa nel mondo, attraverso un assetto volumetrico che sembra imitare la tastiera e il carrello di una macchina per scrivere, l’uso di materiali tipicamente industriali come l’acciaio e l’alluminio, e l’introduzione di elementi mobili e chiaramente «non edilizi» come i tettucci apribili delle stanze dell’hotel. Per altri versi riproduce le finezze artigianali e le atmosfere tipiche dell’architettura navale di cui ripropone le finiture in legno, le passerelle, le scalette metalliche, il gigantismo dell’insieme e la minuzia del dettaglio. L’edificio si articola su cinque livelli, differenziati in base alle funzioni: autorimesse, piscina, sala conferenze, cinema, negozi, ristorante-bar, residence-albergo. La struttura portante è realizzata con un uso composito di elementi in calcestruzzo armato e travi in acciaio; le tamponature sono costituite da pannelli metallici (verniciati argento, bianco, ocra) e in parte calcestruzzo a vista verniciato con tinta argento. Al piano delle fondazioni un percorso coperto accessibile al pubblico consente la visita ai resti archeologici della città romana su cui sorge l’edificio». (Patrizia Bonifazio, Enrico Giacopelli, Il paesaggio futuro. Letture e norme per il patrimonio dell’architettura moderna di Ivrea, Allemandi, Torino 2007, p. 69)

«[…] la scelta di fondare realizzando setti paratie gettati in opera con l’uso di fanghi bentonitici di perforazione, spinti a profondità variabile dai sei ai dieci metri al di sotto del piano di fondazione. Su questa base s’imposta la struttura portante, costituita da una serie parallela di telai, a uno o più piani, disposti secondo l’asse longitudinale dell’edificio a intervalli di oltre cinque metri sopra la quale s’inseriscono i vari sistemi strutturali secondari. Totalmente interrata è la struttura della sala congressi, costituita da pilastri in cemento armato e da muri contro terra, anch’essi realizzati con setti di paratie. Questi brevi richiami alla struttura sono sufficienti a fare capire la complessità del progetto e la gestione del cantiere.
Col cemento armato e acciaio della griglia portante s’integrano i sistemi prefabbricati in acciaio e leghe per le cellule abitative, il legno, la moquette, la gomma, per le finiture di arredo. Il telaio che accoglie i micro-habitat è organizzato con elementi prefabbricati in acciaio e calcestruzzo, dove le pareti delle cellule hanno un ruolo portante. Si tratta di setti in cemento armato gettati in opera e coibentati per l’isolamento termo-acustico, cui poggiano i solai di copertura. Ogni coppia di setti è collegata a travi di acciaio disposte lungo i bordi dei due solai a quote sfalsate. A queste travi è sospeso, tramite tiranti di acciaio, il solaio del terrazzino gettato in opera.
Le cinquantacinque unità residenziali, distinte in quattro diverse tipologie (da 27 a 42 metri quadrati), guardano ai sistemi costruttivi nautici, con gli oblò a chiusura ermetica, uso di ottoni, arredi fissi con superfici piane prive di maniglie, congegni a scomparsa. I “tasti” della facciata corrispondenti ai bowindow presentano un sistema di apertura scorrevole, studiato dai progettisti con la consulenza di officine aeronavali e realizzato in lamiera porcellanata giuntata con un effetto di superficie simile a quella della fusoliera di un aereo. Le finiture esterne, in lamiera ondulata e lastre forate si giustappongono alle superfici in cemento armato e laterizio tinteggiati con acrilico metallizzato color argento». (Maria Adriana Giusti, Ivrea: una macchina da scrivere nella città, in «’Ananke», n. 69, 2013, p. 73)


2. Consistenza dell’opera al 2019 / Stato attuale

L’edificio si trova in parziale stato di abbandono con evidente stato di degrado. Il cinema-auditorium, alcuni locali commerciali e il ristorante sono inutilizzati. Con la privatizzazione delle unità abitative è stato necessario inserire dei cancelletti alterando la percezione e la fruibilità degli spazi.


(Scheda a cura di Elisa Piolatto con Gentucca Canella, DAD - Politecnico di Torino)

Info
  • Progetto: 1967 - 1968
  • Esecuzione: 1970 - 1975
  • Committente: Società Olivetti
  • Proprietà: Proprietà pubblico-privata
  • Destinazione originaria: Centro ricreativo e residenza
  • Destinazione attuale: In parte dismesso
Autori
Nome Cognome Ruolo Fase Progetto Archivio Architetti Url Profilo Autore Principale
Iginio Cappai Progetto architettonico Progetto Visualizza Profilo https://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/siusa/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=54795&RicProgetto=architetti SI
Graziano Chiodini Collaboratore Progetto NO
Ugo De Simoni Coordinatore Esecuzione NO
Pietro Mainardis Progetto architettonico Progetto Visualizza Profilo https://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/siusa/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=54795&RicProgetto=architetti SI
Antonio Migliasso Progetto strutturale Progetto NO
Colombo Scomparin Progetto strutturale Progetto NO
Tekne s.p.a. Impresa esecutrice Esecuzione NO
  • Strutture: Calcestruzzo armato e travi in acciaio
  • Materiale di facciata: Pannelli metallici verniciati (bianco, argento, ocra) e calcestruzzo a vista verniciato argento. Finiture esterne, in lamiera ondulata e lastre forate si giustappongono alle superfici in cemento armato e laterizio tinteggiati con acrilico metallizzato col
  • Coperture: Calcestruzzo armato e pannelli metallici verniciati
  • Serramenti: Serramenti a nastro; u-glass; e scatolari; oblò metallici
  • Stato Strutture: Buono
  • Stato Materiale di facciata: Mediocre
  • Stato Coperture: Buono
  • Stato Serramenti: Mediocre

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 «[…] Prima di questo incarico infatti c’era stato chiesto di progettare un residence con le stesse caratteristiche di quello di Gabetti e Isola (l’incarico era contemporaneo). Tanti minialloggi e un locale per il ricevimento e la prima colazione. Ma il nostro posto era diverso, in centro a Ivrea e, vigenti anche i miti (forse pure questi paloni gonfiati) sulla necessità di rivolgere una buona volta l’attenzione agli spazi sociali oltre che logistici (privati e collettivi) di un edifico o di una città, ci si era posto il problema di dare agli utenti un recapito che non fosse solo il soggiorno, il cucinino e la solita camera da letto. Se ne parlò e se ne discusse parecchio finché si arrivò alla convinzione che, concentrando una serie di servizi collettivi, mancanti o deficienti a Ivrea, come centro culturale, cinema, piscina, palestra, ristorante e una serie di piccoli negozi, garantendo poi una presenza qualificata con una serie di minialloggi di alto livello, si sarebbe potuto creare un cento di riferimento per gli abitanti e i non abitanti (che sono tantissimi) di Ivrea.
L’immediata vicinanza del centro storico giocava poi a favore sia del complesso progettato ma anche dello stesso centro, vecchio e impolverato oltre che storico, per via dello sviluppo prevalente della città oltre-Dora e vicino alla fabbrica.
Si sperava cioè che, richiamando una presenza eterogenea vicino a questo centro, se ne riscoprissero le caratteristiche e le vocazioni naturali di centro comunitario e sociale della città. 
[…] Dopo discussioni, indagini di mercato... l’impossibilità di “andare ancora avanti” ha coinciso con la proposta di un gruppo alberghiero di avviare il complesso, naturalmente come albergo…
Protestammo lo stesso energicamente, ma con l’“intanto si finisce” si raggiunse l’accordo di fare le modifiche minime e indispensabili e comunque facilmente rimovibili per questo tipo di gestione.
… la tecnica alberghiera […] non chiese gran modifiche edilizie. Chiese però quelle sostanziali: “il pregio di un albergo è di porre confini”. Questo slogan, peraltro indiscutibile, si scontrava con le nostre convinzioni e con i nostri miti che pur malconci cercavamo ancora di sostenere, ma soprattutto si scontrava con la conformazione del nostro edifico, volutamente e forse anche eccessivamente, aperto a una partecipazione pubblica» (Iginio Cappai e Pietro Mainardis, Intenzioni e realtà, in Francesco Tentori, Iginio Cappai, Pietro Mainardis, Gianfranco Eddone, Renzo Zorzi, Tullio Lembo, Ugo De Simoni, Ivrea. Centro di servizi Olivetti, in «Casabella», n. 422, febbraio 1977, pp. 43-44)

«Il primo grosso problema emerso già nei primissimi giorni di lavoro, ha comportato – oltre ad una lunga battuta d’arresto – oneri assai pesanti sia in termini di spesa, che di perdita di superfici utilizzabili. Nella fase iniziale degli scavi di sbancamento sono infatti emersi numerosi resti archeologici, dei quali la Soprintendenza alle Antichità per il Piemonte… ha naturalmente preteso un completo ed accurato rilievo, preliminarmente ad ogni altra decisione.
In sede esecutiva, ciò ha significato eseguire quasi tutti gli scavi a mano […] Si sono persi così circa 1000 metri quadri di superficie utilizzabile, ma il complesso si è arricchito di un importante richiamo storico e culturale che i progettisti sono riusciti ad inserire felicemente nelle nuove strutture edilizie, assicurandone nello stesso tempo anche la migliore conservazione.
Il secondo problema di rilievo è stato quello di individuare uno schema strutturale in grado di adattarsi alla configurazione di un edifico caratterizzato da un’articolazione dello spazio così complessa ed inconsueta (ogni singola unità abitativa è impostata su tre piani, la rete pedonale interna, aperta al pubblico, si sviluppa su sei diversi livelli, ecce.), con tutte le esigenze di continuità dei passaggi, sia degli utenti che delle canalizzazioni impiantistiche. Il problema è stato naturalmente reso più difficile dalla presenza dei reperti archeologici di cui si è parlato […] La soluzione adottata dagli strutturisti – gli ingegneri Antonio Migliasso e Colombo Scomparin, della Sertec s.p.a., di Ivrea – oltre ad adattarsi perfettamente alla configurazione dell’edificio, riesce a divenire spesso parte essenziale anche sotto l’aspetto architettonico. Consiste in una struttura portante principale, costituita da una serie parallela di telai, ad uno o più piani, disposti secondo l’asse longitudinale dell’edificio ed intervallati fra loro di m 5,40. Su questa struttura portante principale si inseriscono poi i vari sistemi strutturali secondari, ciascuno dei quali ha rappresentato un singolo problema, affrontato e risolto attraverso il ricorso ad una gamma diversificata di materiali edilizi (murature, calcestruzzo, acciaio, legno) utilizzati attraverso tecnologie tradizionali e – almeno per edifici civili – non tradizionali (precompressione, tensostrutture). Ne è ovviamente derivata una notevole varietà di tipologie e morfologie strutturali, che se ha comportato indubbie complicazioni nella programmazione e nella organizzazione generale di cantiere, non ha però mai costituito una reale difficoltà operativa.
Il terzo problema importante si è presentato quando gran parte dei lavori erano ormai in fase avanzata di finitura.
Il Centro era stato inizialmente previsto dalla committenza e concepito dai progettisti come una struttura urbana, aperta e complementare rispetto a quella rappresentata dalla città, subita e provocata nello stesso tempo. La accessibilità più completa ne costituiva quindi una caratteristica peculiare: nessun portone, ma ben dodici vie di accesso che attraverso tutta una serie di rampe e passaggi pedonali, variamente intersecantisi ad ogni livello, consentivano un collegamento diretto dall’esterno con gli alloggi, il ristorante, il cinema, la palestra, i negozi, la piscina, i resti archeologici, creando continue occasioni di incontri.
Al momento di prendere decisioni conclusive […] è prevalso il parere prudenziale di una gestione chiusa, di tipo alberghiero, che – pur rispettando l’accessibilità di alcune zone a destinazione inequivocabilmente pubblica – restituisse con la possibilità di opportuni controlli una adeguata “privacy” a tutte le principali funzioni del Centro. 
Tradurre in pratica questa decisione ha necessariamente richiesto dei compromessi… si sono trasformati spazi commerciali in hall e servizi alberghieri, si sono interclusi molti tratti di passaggi pedonali, si è dovuto – soprattutto – modificare profondamente le distribuzioni impiantistiche, ed anche integrarle per renderle idonee a sopportare la nuova, non prevista, destinazione.
Si è dunque dovuto svolgere un lento, delicato e costoso lavoro di rimozioni e di inserimenti, di demolizioni e ricostruzioni. Nella generalità dei casi, gli ormai numerosi ospiti dell’albergo hanno giudicato in modo decisamente positivo (e, qualche volta, addirittura entusiastico) i risultati finali ottenuti; rimangono di parere diverso, con i progettisti, tutti coloro che hanno in qualche modo partecipato alla lunga gestazione e realizzazione dell’opera». (Ugo De Simoni. Problemi della realizzazione, in Francesco Tentori, Iginio Cappai, Pietro Mainardis, Gianfranco Eddone, Renzo Zorzi, Tullio Lembo, Ugo De Simoni, Ivrea. Centro di servizi Olivetti, in «Casabella», n. 422, febbraio 1977, p. 57)

«Dotato di attrezzature pubbliche e rapportato alla città tramite percorsi pedonali, spazi verdi, parcheggi, l’edificio rivela la propria natura tecnologica senza enfasi retorica ma anche senza timore del confronto con la storia del centro antico, quale concretizzazione architettonica di un accurato processo progettuale, teso a controllare il disegno dell’edificio fino nei minimi particolari
(Sergio Polano con Marco Mulazzani, Guida all’architettura italiana del Novecento, Electa, Milano 1991, p. 42)

«Costruito a ridosso della città antica, di cui ingloba al suo interno alcuni reperti, l’edificio è una complessa “macchina” per vivere i molteplici modi del privato (60 alloggi) e del sociale (centro culturale con sala cinematografica, aule per conferenze e per esposizioni, centro sportivo con piscina coperta, sauna e palestra, centro commerciale con negozi, ristorante, bar). La pluralità delle funzioni porta ad assemblare i volumi, che conservano la loro individualità plastica e la loro dinamicità, come i tasti e i carrelli di una macchina da scrivere, allusivi alla committenza olivettiana.
Questi si elevano da terra, non ingombrano il piano (originariamente aperto alla collettività), esibiscono le piccole celle abitative, introverse, dove la quota delle aperture non raggiunge l’altezza d’uomo. Si tratta di un’architettura che destabilizza consuetudini acquisite, introducendo nuovi codici di significazione, all’insegna del transitorio, dello straniante. L’habitat minimo dei 60 alloggi che si sviluppano su più piani (ciascuno con gamme cromatiche diverse) è pensato come una cabina di imbarcazione e studiato in ogni minimo dettaglio costruttivo e di arredo. Vivere in movimento, come in una nave, è dunque il significato di questa costruzione, come dimostra anche la sala allungata, con arredo fisso, dotato di sedili e tavoli a scomparsa, le passerelle e le scale metalliche, gli oblò e, soprattutto la bassa quota delle altezze (2.20 negli spazi di transizione). Si tratta dunque di un’architettura fondata su categorie tra loro ossimore: il duraturo e l’effimero, il rigore della macchina alla libera creatività, la gravità strutturale del calcestruzzo armato e dell’acciaio alla leggerezza di materiali duttili, come l’alluminio, declinato in molteplici texture che mimano l’industrial design. Tutto questo in un organismo complesso pensato come una nave-città (esternamente i tasti ricordano anche cellule abitative urbane) con spazi transizionali, che entra in relazione col luogo pubblico, la città di antica fondazione». (Maria Adriana Giusti, Rosa Tamborrino, Guida all'architettura del Novecento in Piemonte (1902-2006), Allemandi, Torino 2008, pp. 187-188)

«La struttura complessa dell’edificio è riconducibile, sul piano concettuale, ai complessi civici e residenziali delle new towns britanniche degli anni cinquanta, come Milton Keynes e Cumbernauld, e, sul piano del linguaggio ai modi dell’architettura radicale degli anni sessanta e settanta, sebbene il progetto, sul piano formale, presenti elementi di forte ambiguità. Da un lato l’edificio sembra fare il verso al prodotto che ha reso la Olivetti famosa nel mondo, attraverso un assetto volumetrico che sembra imitare la tastiera e il carrello di una macchina per scrivere, l’uso di materiali tipicamente industriali come l’acciaio e l’alluminio, e l’introduzione di elementi mobili e chiaramente «non edilizi» come i tettucci apribili delle stanze dell’hotel. Per altri versi riproduce le finezze artigianali e le atmosfere tipiche dell’architettura navale di cui ripropone le finiture in legno, le passerelle, le scalette metalliche, il gigantismo dell’insieme e la minuzia del dettaglio. L’edificio si articola su cinque livelli, differenziati in base alle funzioni: autorimesse, piscina, sala conferenze, cinema, negozi, ristorante-bar, residence-albergo. La struttura portante è realizzata con un uso composito di elementi in calcestruzzo armato e travi in acciaio; le tamponature sono costituite da pannelli metallici (verniciati argento, bianco, ocra) e in parte calcestruzzo a vista verniciato con tinta argento. Al piano delle fondazioni un percorso coperto accessibile al pubblico consente la visita ai resti archeologici della città romana su cui sorge l’edificio». (Patrizia Bonifazio, Enrico Giacopelli, Il paesaggio futuro. Letture e norme per il patrimonio dell’architettura moderna di Ivrea, Allemandi, Torino 2007, p. 69)

«[…] la scelta di fondare realizzando setti paratie gettati in opera con l’uso di fanghi bentonitici di perforazione, spinti a profondità variabile dai sei ai dieci metri al di sotto del piano di fondazione. Su questa base s’imposta la struttura portante, costituita da una serie parallela di telai, a uno o più piani, disposti secondo l’asse longitudinale dell’edificio a intervalli di oltre cinque metri sopra la quale s’inseriscono i vari sistemi strutturali secondari. Totalmente interrata è la struttura della sala congressi, costituita da pilastri in cemento armato e da muri contro terra, anch’essi realizzati con setti di paratie. Questi brevi richiami alla struttura sono sufficienti a fare capire la complessità del progetto e la gestione del cantiere. 
Col cemento armato e acciaio della griglia portante s’integrano i sistemi prefabbricati in acciaio e leghe per le cellule abitative, il legno, la moquette, la gomma, per le finiture di arredo. Il telaio che accoglie i micro-habitat è organizzato con elementi prefabbricati in acciaio e calcestruzzo, dove le pareti delle cellule hanno un ruolo portante. Si tratta di setti in cemento armato gettati in opera e coibentati per l’isolamento termo-acustico, cui poggiano i solai di copertura. Ogni coppia di setti è collegata a travi di acciaio disposte lungo i bordi dei due solai a quote sfalsate. A queste travi è sospeso, tramite tiranti di acciaio, il solaio del terrazzino gettato in opera. 
Le cinquantacinque unità residenziali, distinte in quattro diverse tipologie (da 27 a 42 metri quadrati), guardano ai sistemi costruttivi nautici, con gli oblò a chiusura ermetica, uso di ottoni, arredi fissi con superfici piane prive di maniglie, congegni a scomparsa. I “tasti” della facciata corrispondenti ai bowindow presentano un sistema di apertura scorrevole, studiato dai progettisti con la consulenza di officine aeronavali e realizzato in lamiera porcellanata giuntata con un effetto di superficie simile a quella della fusoliera di un aereo. Le finiture esterne, in lamiera ondulata e lastre forate si giustappongono alle superfici in cemento armato e laterizio tinteggiati con acrilico metallizzato color argento». (Maria Adriana Giusti, Ivrea: una macchina da scrivere nella città, in «’Ananke», n. 69, 2013, p. 73)


2.	Consistenza dell’opera al 2019 / Stato attuale  

L’edificio si trova in parziale stato di abbandono con evidente stato di degrado. Il cinema-auditorium, alcuni locali commerciali e il ristorante sono inutilizzati. Con la privatizzazione delle unità abitative è stato necessario inserire dei cancelletti alterando la percezione e la fruibilità degli spazi. 


(Scheda a cura di Elisa Piolatto con Gentucca Canella, DAD - Politecnico di Torino)
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  • Foglio Catastale: -
  • Particella: -

Note

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Bibliografia
Autore Anno Titolo Edizione Luogo Edizione Pagina Specifica
1971 Nuova unità residenziale a Ivrea Notizie Olivetti n. 7 6 No
1972 La nuova unità residenziale della Olivetti a Ivrea. L'idea guida del progetto Notizie Olivetti n. 1 3 No
Migliasso Antonio, Scomparin Colombo 1972 Tre stabilimenti Olivetti con struttura prefabbricata in cemento armato L’industria italiana del cemento No
1973 Cappai Mainardis. Capsulated building for Olivetti employees in Ivrea, Italy Architecture Plus 8 No
1976 Dossier: Politique industrielle et architecture: le cas Olivetti L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188 100-104 No
Pedio Renato, Romano Gabriele 1976 Centro di servizi sociali e residenziali Olivetti ad Ivrea: architetti Iginio Cappai e Pietro Mainardis L’architettura. Cronache e storia n. 249 134-186 No
Tentori Francesco, Cappai Iginio, Mainardis Pietro, Eddone Gianfranco, Zorzi Renzo, Lembo Tullio, De Simoni Ugo 1977 Ivrea. Centro di servizi Olivetti Casabella n. 422 41-57 No
De Simoni Ugo 1977 Residenziale Hotel «La Serra» nel centro di Ivrea Il Nuovo Cantiere n. 4 18-26 No
Dixon John Morris 1977 Utopian mechanism. Olivetti Social Services and Residential Center, Ivrea, Italy Progressive Architecture n. 8 74-81 No
1978 Olivetti social and residential center, Ivrea, Piemonte A+U, Architecture and Urbanism n. 95 27-40 No
Shapira Nathan H., Von Klier Hans, Perry A. King (a cura di)) 1979 Design Process Olivetti, 1908-1978 Olivetti Milano 48-49 No
Polano Sergio, Mulazzani Marco 1991 Guida all’architettura italiana del Novecento Electa Milano 42 No
Bonifazio Patrizia, Giacopelli Enrico 2007 Il paesaggio futuro. Letture e norme per il patrimonio dell’architettura moderna di Ivrea Allemandi Torino 69 No
Giusti Maria Adriana, Tamborrino Rosa 2008 Guida all'architettura del Novecento in Piemonte (1902-2006) Allemandi Torino 187 No
Giusti Maria Adriana 2013 Ivrea: una macchina da scrivere nella città ’Ananke n. 69 69-75 No
Poli Filippo 2013 Centro sociale e residenziale a Ivrea di I. Cappai e P. Mainardis (1967-75) Abitare No

Allegati
File Didascalia Credito Fotografico
Vista aerea dell’edifico nel centro storico Vista aerea dell’edifico nel centro storico Tratto da - Tentori, Cappai, Mainardis, Eddone, Zorzi, Lembo, De Simoni, Casabella n. 422, 1977
Pianta a quota - 4,65 Pianta a quota - 4,65 Tratto da - L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188, 1976
Pianta a quota + 0,80 Pianta a quota + 0,80 Tratto da - L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188, 1976
Pianta a quota + 3,30 Pianta a quota + 3,30 Tratto da - L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188, 1976
Sezioni BB e EE Sezioni BB e EE Tratto da - L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188, 1976
Vista esterna Vista esterna Tratto da - Tentori, Cappai, Mainardis, Eddone, Zorzi, Lembo, De Simoni, Casabella» n. 422, 1977
Vista esterna Vista esterna Tratto da - Tentori, Cappai, Mainardis, Eddone, Zorzi, Lembo, De Simoni, Casabella» n. 422, 1977
Vista dell’ingresso principale dalla strada. In primo piano i negozi Vista dell’ingresso principale dalla strada. In primo piano i negozi Tratto da - L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188, 1976
Vista del parco. In primo piano il cinema sormontato dalla sala conferenze Vista del parco. In primo piano il cinema sormontato dalla sala conferenze Tratto da - L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188, 1976
Ingresso principale sulla piazza Ingresso principale sulla piazza Gianni Barengo-Gardin, tratto da - L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188, 1976
Dettaglio del fronte con i negozi sospesi e la hall dell’hotel Dettaglio del fronte con i negozi sospesi e la hall dell’hotel Gianni Barengo-Gardin, tratto da - L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188, 1976
Vista esterna della caffetteria-ristorante Vista esterna della caffetteria-ristorante Gianni Barengo-Gardin, tratto da - L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188, 1976
Vista interna della caffetteria-ristorante Vista interna della caffetteria-ristorante Gianni Barengo-Gardin, tratto da - L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188, 1976
Vista interna della sala conferenze Vista interna della sala conferenze Tratto da - Tentori, Cappai, Mainardis, Eddone, Zorzi, Lembo, De Simoni, Casabella n. 422, 1977
Vista interna del cinema Vista interna del cinema Tratto da - Tentori, Cappai, Mainardis, Eddone, Zorzi, Lembo, De Simoni, Casabella n. 422, 1977
Interno di una cellula duplex. Al primo livello l’accesso alla terrazza e la zona pranzo. Sul fondo la piccola zona studio Interno di una cellula duplex. Al primo livello l’accesso alla terrazza e la zona pranzo. Sul fondo la piccola zona studio Tratto da - L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188, 1976
Pianta e sezione di una cellula duplex Pianta e sezione di una cellula duplex Gianni Barengo-Gardin, tratto da - L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188, 1976
Viste delle cellule residenziali Viste delle cellule residenziali Gianni Barengo-Gardin, tratto da - L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188, 1976
Dettaglio che mostra il sistema di apertura delle cellule Dettaglio che mostra il sistema di apertura delle cellule Gianni Barengo-Gardin, tratto da - L'Architecture d'Aujourd'hui n. 188, 1976
Dettaglio delle cellule residenziali Dettaglio delle cellule residenziali Tratto da - Casabella n. 422, 1977
Dettaglio delle cellule residenziali Dettaglio delle cellule residenziali Tratto da - Casabella n. 422, 1977
Vista dell’edificio con in primo piano la sala conferenze Vista dell’edificio con in primo piano la sala conferenze Tratto da - Giusti, Franco Angeli 2019
Dettaglio delle cellule Dettaglio delle cellule Tratto da - Giusti, Franco Angeli 2019
Interno di una cellula Interno di una cellula Tratto da - Giusti, Franco Angeli 2019
Vista dell’edificio con in primo piano l’ingresso all’auditorium, 2014 Vista dell’edificio con in primo piano l’ingresso all’auditorium, 2014 Elisa Piolatto- 2014
Vista del fronte con i negozi sospesi e la hall dell’hotel, 2014 Vista del fronte con i negozi sospesi e la hall dell’hotel, 2014 Elisa Piolatto - 2014
Ingresso alle residenze, 2014 Ingresso alle residenze, 2014 Elisa Piolatto- 2014
Vista del corpo con auditorium-sala conferenze e cinema, 2014 Vista del corpo con auditorium-sala conferenze e cinema, 2014 Elisa Piolatto - 2014
Ortofoto, 2019 Ortofoto, 2019 Google maps - 2019

Criteri
1. L’edificio o l’opera di architettura è citata in almeno tre studi storico-sistematici sull’architettura contemporanea di livello nazionale e/o internazionale.
2. L’edificio o l’opera di architettura è illustrata in almeno due riviste di architettura di livello nazionale e/o internazionale.
3. L’edificio o l’opera di architettura ha una riconosciuta importanza nel panorama dell’architettura nazionale, degli anni nei quali è stata costruita, anche in relazione ai contemporanei sviluppi sia del dibattito, sia della ricerca architettonica nazionale e internazionale,
4. L’edificio o l’opera di architettura riveste un ruolo significativo nell’ambito dell’evoluzione del tipo edilizio di pertinenza, ne offre un’interpretazione progressiva o sperimenta innovazioni di carattere distributivo e funzionale.
5. L’edificio o l’opera di architettura introduce e sperimenta significative innovazioni nell’uso dei materiali o nell’applicazione delle tecnologie costruttive.
6. L’edificio o l’opera di architettura è stata progettata da una figura di rilievo nel panorama dell’architettura nazionale e/o internazionale.
7. L’edificio o l’opera di architettura si segnala per il particolare valore qualitativo all’interno del contesto urbano in cui è realizzata.
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Crediti Scheda
Enti di riferimento: DGAAP - Segretariato Regionale per il Piemonte
Titolare della ricerca: Politecnico Torino Dipartimento Architettura e Design
Responsabile scientifico: Maria Adriana Giusti, Gentucca Canella (DAD)


Scheda redatta da Elisa Piolatto con Gentucca Canella
creata il 31/12/2004
ultima modifica il 15/04/2024

Revisori:

Mezzino Davide 2021