Censimento delle architetture italiane dal 1945 ad oggi

SEDE DELL'ORDINE DEI MEDICI DELLA PROVINCIA DI ROMA

Scheda Opera

  • Pianta piano terreno
  • Particolare prospetto
  • Vista esterna
  • Vista esterna da via De Rossi
  • Comune: Roma
  • Località:
  • Denominazione: SEDE DELL'ORDINE DEI MEDICI DELLA PROVINCIA DI ROMA
  • Indirizzo: Via Gian Battista De Rossi N. 9
  • Data: 1966 - 1972
  • Tipologia: Edifici per uffici
  • Autori principali: Piero Sartogo
Descrizione

In via Giovanni Battista de Rossi un provocatorio e coraggioso edificio si slancia disarticolando i propri volumi nello spazio, rompendo con forza la composta uniformità dei villini e delle palazzine primo Novecento circostanti. Si tratta della nuova Sede dell’Ordine dei Medici, “opera prima” di un giovane Piero Sartogo, coadiuvato dai colleghi Carlo Fegiz e Domenico Gimigliano, il cui ostentato anticonformismo da principio scontenta l’Ordine dei Medici ma galvanizza Bruno Zevi. L’edificio appare infatti come un omaggio a Zevi, di cui riprende alcuni temi come l’organicismo inteso come espressione plastica dello spazio interno, la composizione dissonante per giustapposizione, il continuum spaziale e la storia come amica per la sua struttura senza tempo. Tutte queste componenti sono compendiate in questa opera, che non è gratuita eresia nei confronti di un decoroso contesto residenziale, ma dissonanza ragionata, ponderata, tanto da risultare oggi una “preesistenza ambientale”.

La realizzazione della Sede irrompe con la forza di un’opera di rottura e, nello stesso tempo, con la freschezza di un’opera prima, che nella lunga carriera di Sartogo rappresenta lo zenith, progettata quando in Italia si sta scoprendo lo sviluppo economico e con esso un ottimismo destinato a calare per le imminenti tensioni dell’autunno caldo. La progettazione comincia infatti nel 1966, viene elaborata nella sua versione definitiva intorno al 1970 e il cantiere termina all'inizio del 1972. Si tratta degli anni della contestazione e delle rivolte studentesche, di una frattura epocale all'interno della quale la revisione linguistica delle neoavanguardie procede a grandi passi, confrontandosi con le innovazioni nel campo della tecnologia e con un nuovo sistema di interconnessioni linguistiche complesso e imprevedibile.

Questa Sede si pone nel contesto di ricezione italiano degli anni Sessanta, carico della contaminazione della cultura architettonica contemporanea nord-europea e statunitense, secondo una declinazione particolare della ricerca volta al rinnovamento linguistico delle neoavanguardie che, superando ogni logica razionalista, lineare e simmetrica, porta il processo della frantumazione dell’immagine e della complessificazione del linguaggio alle conseguenze più estreme. Zevi, presentandola ne parla riferendovisi come ad un “elenco spregiudicato di funzioni, scevro di velleitarismi sintattici; un linguaggio che brucia gli idiomi vernacolari e i preconcetti ambientalistici per assumere una validità di timbro europeo“.

La scomposizione del volume reale in due volumi progettuali sovrapposti, come Sartogo aveva già sperimentato nella mostra “Vitalità del Negativo” allestita nel 1971 al Palazzo delle Esposizioni, è il segno scelto per questo edificio. La struttura formale dell’opera è data infatti da due entità edilizie distinte sovrapposte, secondo un procedimento utilizzato anche da Passarelli per l’edificio di Via Campania. La prima entità è il dado basamentale in cemento armato a vista che si imposta sui due piani semi-interrati, caratterizzato da un’alternanza di pieni e vuoti impaginati in una struttura iterata da aggetti e rientranze, secondo un procedimento tipico del brutalismo, richiamo evidente anche nell'uso del beton brut a vista e di tutte le materie grezze, schiettamente ispirate a Le Corbusier.

La seconda è quella del corpo di fabbrica in acciaio sovrastante a due livelli, dove la concitazione plastica lascia il posto alla sintesi espressiva di una piastra continua, di rinascimentale memoria, che separa gli spazi accessibili al pubblico da quelli privati: un mezzanino pantografato a corpo di fabbrica in cui corrono le finestre a nastro inclinate, nella cui perentoria e seducente orizzontalità si ritrova Wright in cerca della “linea orizzontale della libertà” della Robie House, dalla quale questo edificio eredita il senso centripeto della costruzione, la multi-direzionalità ed il senso del disequilibrio dinamicizzante. Nella disarticolazione della scatola volumetrica e nella disaggregazione e successivo assemblaggio di unità dotate di una propria riconoscibile morfologia funzionale si scorge inoltre la lezione costruttivista.

Ma ciò che rende questa architettura unica sono due torsioni: una figurativa e l’altra dimensionale. La prima è incardinata sulla trincea che corre sui fronti strada e che distacca l’edificio dal marciapiede, che realizza quel caratteristico dialogo per dissonanza con l’intorno. La seconda torsione è quella dimensionale: l’edificio infatti appare come una megastruttura a scala mignon, un vero e proprio modello a scala ridotta di utopie quantitative fallite proprio a causa della loro tracotanza dimensionale, anticipando temi che sperimenterà poi Koolhaas. Inoltre i precisi parametri economici imposti ai progettisti sono stati l’occasione per una serie di scelte, quali l’uso del cemento armato a vista, la pavimentazione in gomma industriale, le scale in ferro, tutti elementi che hanno evitato la creazione di un edificio formalmente rappresentativo.

L’impianto planimetrico si inserisce nel tessuto edilizio ordinato e ripetitivo del quartiere con un atteggiamento di totale rottura e netto distacco dalle tipologie circostanti dei villini e delle palazzine di primo Novecento, cercando una nuova soluzione ai condizionamenti e sfruttando al massimo la volumetria disponibile. Infatti, anche se la misura d’intervento ripete l’altezza dei fabbricati circostanti e la distanza massima tra loro, confermandone la scala urbana, la configurazione architettonica rompe con forza la tradizione visiva del quartiere, imponendovi uno spregiudicato slancio orizzontale, una disinibita disarticolazione della scatola volumetrica ed uno scavo di fondazione, di inusuale dimensione, destinato a rimanere aperto. Sartogo rinuncia ai volumi puri, spaccandoli, ne nega le simmetrie rassicuranti e ne abolisce la facciata, sconfessa la definizione tradizionale di attacco a terra, abdicando il valore della centralità. Ma egli non si disinteressa del contesto, infatti ignora la morfologia urbana ma esalta il “luogo”. L’edificio è radicato al suolo tramite il nucleo inferiore visibile dallo scavo, come un tronco d’alto fusto di organicistica memoria, radicamento sottolineato dai ponti e dalle gradonate d’accesso a più livelli.

L’estrema complessità della configurazione volumetrica nasce da un’articolata operazione di assemblaggio nella quale a diversa funzione corrisponde una diversa sintattica. Infatti la sovrapposizione in verticale di due ordini di funzioni è inequivocabilmente denunciata all’esterno da connotazioni formali diverse. I segni architettonici sono immediatamente leggibili e riconoscibili dall'esterno, sottolineati anche dalle bucature posizionate e dimensionate in sintonia con la distribuzione interna. I garage, l’archivio e la tipografia sono nel piano più basso. Lo scavo intorno al piano interrato, che nega la continuità tra terreno e piano terra, e l’esibizione dei volumi seminterrati visibili dalla strada in tutta la loro integrità plastica, indicano la presenza della grande sala per conferenze, necessaria per l’esigenza di disporre di grandi ambienti per attività collettive, e dei suoi locali annessi.

Al piano terra si trovano poi l’atrio, il salone dell’albo, le informazioni e posti di lavoro attrezzati. Al primo piano vi sono l’emeroteca e la grande sala per seminari e riunioni, che sottolinea la preponderanza della propria mansione. I due piani superiori accolgono gli uffici di gestione, la presidenza e la sala del consiglio, apparati direzionali il cui carattere introverso, e distinto dalle funzioni aperte al pubblico sottostanti, viene dichiarato apertamente all’esterno dalla vetrata continua inclinata aggettante, una soluzione che ricompone l’unità visuale delle due piastre traslate tra di loro. Inoltre se i volumi dedicati alle funzioni pubbliche rappresentano il “positivo” e le volumetrie degli uffici privati ai piani superiori il “negativo”, Sartogo introduce nell'organismo architettonico il piano virtuale secante del nastro nero, cioè la grande piastra di ripartizione, capace di costituire un taglio orizzontale talmente potente da diventare un suolo artificiale posto a mezz'aria. I volumi posteriori essenzialmente verticali, rigidamente posizionati, costituiscono, in contrapposizione alla libera traslazione dei piani orizzontali, dei punti di ordine e riferimento che ricompongono la riconoscibilità dell’insieme.

Anche la struttura dell’edificio si sottomette all'esibita disarticolazione spaziale e Sartogo, consapevole della sfida di integrazione tra soluzioni compositive e strutturali nel caso di un progetto complesso come questo, si rivolge all’ing. Antonio Michetti, il quale realizza una struttura mista acciaio-calcestruzzo, deputando a strutture a grandi luci la scansione degli spazi pubblici e ad un sistema di pilastri metallici a piccole campate l’assetto degli uffici ai piani superiori. Questi pilastri poggiano sul “terreno artificiale” della piastra in cemento armato, all'interno della quale sono canalizzati gli impianti: si tratta di un vero e proprio “nuovo suolo”, in grado di gestire dal punto di vista statico l’improvviso cambio di timbro strutturale tra le membrature inferiori in calcestruzzo a grandi luci e quelle superiori in acciaio dal passo più fitto. La piastra è scatolare, con nervature differenziate in maniera congrua alle condizioni di vincolo incontrate lungo il suo sviluppo longitudinale, ed è portata da sette grandi elementi verticali di resistenza, ossia colonne in cemento armato e setti dei corpi scala e dei servizi igienici. Le membrature cementizie sorgono dal terreno come le radici di un albero, esibendo con franchezza il loro grigio brutalismo e avviando un contraddittorio dialogo, salendo verso l’alto, con la leggerezza dei volumi aggettanti finestrati a nastro.

Info
  • Progetto: 1966 - 1970
  • Esecuzione: 1970 - 1972
  • Tipologia Specifica: Sede di ordine professionale
  • Committente: Ordine dei Medici di Roma e Provincia
  • Proprietà: Proprietà privata
Autori
Nome Cognome Ruolo Fase Progetto Archivio Architetti Url Profilo Autore Principale
Carlo Fegiz Progetto architettonico Progetto NO
Domenico Gimigliano Progetto architettonico Progetto NO
Antonio Maria Michetti Progetto strutturale Progetto Visualizza Profilo https://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/siusa/pagina.pl?TipoPag=prodpersona&Chiave=58145 NO
Piero Sartogo Progetto architettonico Progetto Visualizza Profilo http://www.sartogoarchitetti.it/index.php?/studio/piero-sartogo/ SI
  • Strutture: cemento armato
  • Materiale di facciata: calcestruzzo a faccia vista, pannelli prefabbricati leggeri
  • Coperture: piana
  • Stato Strutture: Buono
  • Stato Materiale di facciata: Mediocre
  • Stato Coperture: Mediocre

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La realizzazione della Sede irrompe con la forza di un’opera di rottura e, nello stesso tempo, con la freschezza di un’opera prima, che nella lunga carriera di Sartogo rappresenta lo zenith, progettata quando in Italia si sta scoprendo lo sviluppo economico e con esso un ottimismo destinato a calare per le imminenti tensioni dell’autunno caldo. La progettazione comincia infatti nel 1966, viene elaborata nella sua versione definitiva intorno al 1970 e il cantiere termina all'inizio del 1972. Si tratta degli anni della contestazione e delle rivolte studentesche, di una frattura epocale all'interno della quale la revisione linguistica delle neoavanguardie procede a grandi passi, confrontandosi con le innovazioni nel campo della tecnologia e con un nuovo sistema di interconnessioni linguistiche complesso e imprevedibile. 

Questa Sede si pone nel contesto di ricezione italiano degli anni Sessanta, carico della contaminazione della cultura architettonica contemporanea nord-europea e statunitense, secondo una declinazione particolare della ricerca volta al rinnovamento linguistico delle neoavanguardie che, superando ogni logica razionalista, lineare e simmetrica, porta il processo della frantumazione dell’immagine e della complessificazione del linguaggio alle conseguenze più estreme. Zevi, presentandola ne parla riferendovisi come ad un “elenco spregiudicato di funzioni, scevro di velleitarismi sintattici; un linguaggio che brucia gli idiomi vernacolari e i preconcetti ambientalistici per assumere una validità di timbro europeo“.

La scomposizione del volume reale in due volumi progettuali sovrapposti, come Sartogo aveva già sperimentato nella mostra “Vitalità del Negativo” allestita nel 1971 al Palazzo delle Esposizioni, è il segno scelto per questo edificio. La struttura formale dell’opera è data infatti da due entità edilizie distinte sovrapposte, secondo un procedimento utilizzato anche da Passarelli per l’edificio di Via Campania. La prima entità è il dado basamentale in cemento armato a vista che si imposta sui due piani semi-interrati, caratterizzato da un’alternanza di pieni e vuoti impaginati in una struttura iterata da aggetti e rientranze, secondo un procedimento tipico del brutalismo, richiamo evidente anche nell'uso del beton brut a vista e di tutte le materie grezze, schiettamente ispirate a Le Corbusier. 

La seconda è quella del corpo di fabbrica in acciaio sovrastante a due livelli, dove la concitazione plastica lascia il posto alla sintesi espressiva di una piastra continua, di rinascimentale memoria, che separa gli spazi accessibili al pubblico da quelli privati: un mezzanino pantografato a corpo di fabbrica in cui corrono le finestre a nastro inclinate, nella cui perentoria e seducente orizzontalità si ritrova Wright in cerca della “linea orizzontale della libertà” della Robie House, dalla quale questo edificio eredita il senso centripeto della costruzione, la multi-direzionalità ed il senso del disequilibrio dinamicizzante. Nella disarticolazione della scatola volumetrica e nella disaggregazione e successivo assemblaggio di unità dotate di una propria riconoscibile morfologia funzionale si scorge inoltre la lezione costruttivista. 

Ma ciò che rende questa architettura unica sono due torsioni: una figurativa e l’altra dimensionale. La prima è incardinata sulla trincea che corre sui fronti strada e che distacca l’edificio dal marciapiede, che realizza quel caratteristico dialogo per dissonanza con l’intorno. La seconda torsione è quella dimensionale: l’edificio infatti appare come una megastruttura a scala mignon, un vero e proprio modello a scala ridotta di utopie quantitative fallite proprio a causa della loro tracotanza dimensionale, anticipando temi che sperimenterà poi Koolhaas. Inoltre i precisi parametri economici imposti ai progettisti sono stati l’occasione per una serie di scelte, quali l’uso del cemento armato a vista, la pavimentazione in gomma industriale, le scale in ferro, tutti elementi che hanno evitato la creazione di un edificio formalmente rappresentativo.

L’impianto planimetrico si inserisce nel tessuto edilizio ordinato e ripetitivo del quartiere con un atteggiamento di totale rottura e netto distacco dalle tipologie circostanti dei villini e delle palazzine di primo Novecento, cercando una nuova soluzione ai condizionamenti e sfruttando al massimo la volumetria disponibile. Infatti, anche se la misura d’intervento ripete l’altezza dei fabbricati circostanti e la distanza massima tra loro, confermandone la scala urbana, la configurazione architettonica rompe con forza la tradizione visiva del quartiere, imponendovi uno spregiudicato slancio orizzontale, una disinibita disarticolazione della scatola volumetrica ed uno scavo di fondazione, di inusuale dimensione, destinato a rimanere aperto. Sartogo rinuncia ai volumi puri, spaccandoli, ne nega le simmetrie rassicuranti e ne abolisce la facciata, sconfessa la definizione tradizionale di attacco a terra, abdicando il valore della centralità. Ma egli non si disinteressa del contesto, infatti ignora la morfologia urbana ma esalta il “luogo”. L’edificio è radicato al suolo tramite il nucleo inferiore visibile dallo scavo, come un tronco d’alto fusto di organicistica memoria, radicamento sottolineato dai ponti e dalle gradonate d’accesso a più livelli.

L’estrema complessità della configurazione volumetrica nasce da un’articolata operazione di assemblaggio nella quale a diversa funzione corrisponde una diversa sintattica. Infatti la sovrapposizione in verticale di due ordini di funzioni è inequivocabilmente denunciata all’esterno da connotazioni formali diverse. I segni architettonici sono immediatamente leggibili e riconoscibili dall'esterno, sottolineati anche dalle bucature posizionate e dimensionate in sintonia con la distribuzione interna. I garage, l’archivio e la tipografia sono nel piano più basso. Lo scavo intorno al piano interrato, che nega la continuità tra terreno e piano terra, e l’esibizione dei volumi seminterrati visibili dalla strada in tutta la loro integrità plastica, indicano la presenza della grande sala per conferenze, necessaria per l’esigenza di disporre di grandi ambienti per attività collettive, e dei suoi locali annessi. 

Al piano terra si trovano poi l’atrio, il salone dell’albo, le informazioni e posti di lavoro attrezzati. Al primo piano vi sono l’emeroteca e la grande sala per seminari e riunioni, che sottolinea la preponderanza della propria mansione. I due piani superiori accolgono gli uffici di gestione, la presidenza e la sala del consiglio, apparati direzionali il cui carattere introverso, e distinto dalle funzioni aperte al pubblico sottostanti, viene dichiarato apertamente all’esterno dalla vetrata continua inclinata aggettante, una soluzione che ricompone l’unità visuale delle due piastre traslate tra di loro. Inoltre se i volumi dedicati alle funzioni pubbliche rappresentano il “positivo” e le volumetrie degli uffici privati ai piani superiori il “negativo”, Sartogo introduce nell'organismo architettonico il piano virtuale secante del nastro nero, cioè la grande piastra di ripartizione, capace di costituire un taglio orizzontale talmente potente da diventare un suolo artificiale posto a mezz'aria. I volumi posteriori essenzialmente verticali, rigidamente posizionati, costituiscono, in contrapposizione alla libera traslazione dei piani orizzontali, dei punti di ordine e riferimento che ricompongono la riconoscibilità dell’insieme.

Anche la struttura dell’edificio si sottomette all'esibita disarticolazione spaziale e Sartogo, consapevole della sfida di integrazione tra soluzioni compositive e strutturali nel caso di un progetto complesso come questo, si rivolge all’ing. Antonio Michetti, il quale realizza una struttura mista acciaio-calcestruzzo, deputando a strutture a grandi luci la scansione degli spazi pubblici e ad un sistema di pilastri metallici a piccole campate l’assetto degli uffici ai piani superiori. Questi pilastri poggiano sul “terreno artificiale” della piastra in cemento armato, all'interno della quale sono canalizzati gli impianti: si tratta di un vero e proprio “nuovo suolo”, in grado di gestire dal punto di vista statico l’improvviso cambio di timbro strutturale tra le membrature inferiori in calcestruzzo a grandi luci e quelle superiori in acciaio dal passo più fitto. La piastra è scatolare, con nervature differenziate in maniera congrua alle condizioni di vincolo incontrate lungo il suo sviluppo longitudinale, ed è portata da sette grandi elementi verticali di resistenza, ossia colonne in cemento armato e setti dei corpi scala e dei servizi igienici. Le membrature cementizie sorgono dal terreno come le radici di un albero, esibendo con franchezza il loro grigio brutalismo e avviando un contraddittorio dialogo, salendo verso l’alto, con la leggerezza dei volumi aggettanti finestrati a nastro.  
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  • Provvedimenti di tutela: Nessuna opzione
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  • Riferimento Normativo:
  • Altri Provvedimenti:
  • Foglio Catastale: -
  • Particella: -

Note

“Di fronte ad un programma ambiguo sarebbe stato assurdo tentare una sintesi unitaria. Meglio accettare le contraddizioni, sovrapponendo con nuda semplicità gli elementi. Linguaggio discontinuo? L’unico idoneo“ (B. Zevi,1973)

Bibliografia
Autore Anno Titolo Edizione Luogo Edizione Pagina Specifica
Mezzetti Carlo 1972 La nuova sede dell’ordine dei medici a Roma. Un’architettura nuova L’Industria delle costruzioni n. 30 45-52 Si
Klaus König Giovanni 1973 La sede dell’ordine dei medici di Roma L'Architettura. Cronache e Storia n. 209 706-725 Si
Sartogo Piero 1973 La nuova sede dell’ordine dei medici a Roma Domus n. 521 Milano 26-32 Si
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1973 Immagine reale e virtuale nell’architettura di Piero Sartogo Casabella n. 380-381 17-26 No
De Guttry Irene 1978 Guida di Roma moderna dal 1870 ad oggi De Luca Roma 99 No
1979 28/78 ARCHITETTURA. Cinquanta anni di architettura italiana dal 1928 al 1978 Editoriale Domus Milano No
Zevi Bruno 1979 Morfemi contaminati per professionisti in crisi. Sede dell'ordine dei Medici a Roma, in Cronache di architettura, vol. 16 Laterza Roma-Bari 284-287; Scheda n. 890 Si
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Ippolito Achille Maria, Pagnotta Mauro 1982 Roma Costruita. Le vicende, le problematiche e le realizzazioni dell’architettura a Roma dal 1946 al 1981 Palombi Roma 117 No
Rossi Piero Ostilio 1984 Roma. Guida all'architettura moderna 1909-1984 (I ed.) Laterza Roma-Bari Scheda n. 178 Si
Muratore Giorgio, Capuano Alessandra, Garofalo Francesco, Pellegrini Ettore 1988 Italia. Gli ultimi trent'anni Zanichelli Bologna 345; Scheda n. 82 No
Polano Sergio 1991 Guida all'architettura italiana del Novecento Electa Milano 458-459 No
Rossi Piero Ostilio 1991 Roma. Guida all'architettura moderna 1909-1991 (II ed.) Laterza Roma-Bari Scheda n. 171 Si
Touring Club Italiano 1993 Guida d'Italia. Roma Touring Milano 729 No
Moltedo Aida, La Franca Paolina (a cura di) 1995 Disegni di architetture. Schizzi e studi di opere romane dal dopoguerra agli anni Ottanta Gangemi Roma 98 No
Pedio Renato 1997 Sartogo. Fictions Testo & Immagine Torino 86-89 Si
Rossi Piero Ostilio 2000 Roma. Guida all'architettura moderna 1909-2000 (III ed.) Laterza Roma-Bari Scheda n. 171 Si
2001 Piero Sartogo Nathalie Grenon. Architettura Skira Milano 226-229 Si
De Guttry Irene 2001 Guida di Roma moderna dal 1870 ad oggi De Luca Roma 100 No
2002 Costruttori Romani n. 2 Roma No
Rossi Piero Ostilio 2012 Roma. Guida all'architettura moderna 1909-2011 (IV ed.) Laterza Roma-Bari Scheda n. 171 Si

Allegati
File Didascalia Credito Fotografico
Pianta piano terreno Pianta piano terreno
Particolare prospetto Particolare prospetto
Vista esterna Vista esterna
Vista esterna da via De Rossi Vista esterna da via De Rossi

Criteri
1. L’edificio o l’opera di architettura è citata in almeno tre studi storico-sistematici sull’architettura contemporanea di livello nazionale e/o internazionale.
2. L’edificio o l’opera di architettura è illustrata in almeno due riviste di architettura di livello nazionale e/o internazionale.
3. L’edificio o l’opera di architettura ha una riconosciuta importanza nel panorama dell’architettura nazionale, degli anni nei quali è stata costruita, anche in relazione ai contemporanei sviluppi sia del dibattito, sia della ricerca architettonica nazionale e internazionale,
4. L’edificio o l’opera di architettura riveste un ruolo significativo nell’ambito dell’evoluzione del tipo edilizio di pertinenza, ne offre un’interpretazione progressiva o sperimenta innovazioni di carattere distributivo e funzionale.
5. L’edificio o l’opera di architettura introduce e sperimenta significative innovazioni nell’uso dei materiali o nell’applicazione delle tecnologie costruttive.
6. L’edificio o l’opera di architettura è stata progettata da una figura di rilievo nel panorama dell’architettura nazionale e/o internazionale.
Sitografia ed altri contenuti online
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Crediti Scheda
Enti di riferimento: PaBAAC - Direzione Regionale per il Lazio
Titolare della ricerca: Università degli studi di Roma "Sapienza"
Responsabile scientifico: Piero Ostilio Rossi


Scheda redatta da
creata il 31/12/2012
ultima modifica il 21/01/2025

Revisori:

Alberto Coppo 2021