Censimento delle architetture italiane dal 1945 ad oggi

CENTRALE TERMOELETTRICA SIP

Scheda Opera

  • Vista del fronte nord-ovest
  • Il fronte ovest della centrale con il corpo uffici e il corpo magazzini collegati da un passaggio coperto
  • Dettaglio del passaggio coperto di collegamento tra il corpo uffici e il corpo magazzini
  • Scorcio del fronte ovest
  • Le finestrate degli uffici hanno un parapetto a filo esterno in vetro cemento e sono protette da serramento ad alette frangisole regolabili
  • L’ingresso al corpo degli uffici: il cancello metallico librato orizzontalmente sotto la pensilina ha un movimento di chiusura a bilico
  • Porta a bussola e cancello ribaltabile all’ingresso degli uffici
  • Le finestrate ricavate fra i pilastri del fronte nord in corrispondenza della sala di governo
  • Tramogge e bilance carbone, dipinte con colori Max Meyer
  • Passerella tra le due caldaie
  • Tubazioni d’acqua
  • Caldaie e condotti carbone polverizzato
  • Preriscaldatori d’acqua d’alimento
  • Mulini polverizzatori e tubazioni d’acqua
  • Vista del fronte nord-ovest, 2019
  • Ortofoto, 2020
  • Comune: Chivasso
  • Denominazione: CENTRALE TERMOELETTRICA SIP
  • Indirizzo: Via Mezzano N. 69
  • Data: 1950 - 1952
  • Tipologia: Impianti idrici, elettrici o idroelettrici
  • Autori principali: Gino Levi Montalcini, Mario Passanti, Paolo Ceresa
Descrizione

1. Opera originaria

«Non avremmo insistito per presentare questa centrale se in questo lavoro di Levi Montalcini, Ceresa e Passanti per i nuovi grandi impianti della S.I.P. non avessimo sentito un significato particolare, che va oltre la sua stessa bellezza ed importanza. Quale significato? L’ingresso del colore anche in questo settore del lavoro. Migliora o si incrementa la produzione della energia elettrica se le apparecchiature sono colorate o no? Né migliora, né si incrementa, e sotto questo punto di vista i colori non sono necessari, e la efficienza produttivistica esaurisce il proprio servizio di impiego e di reddito senza di essi. Perché qui il colore è in funzione di un’altra cosa, è in funzione del rapporto fra l’uomo e la macchina, in un rapporto umano di chi ne è in continuo contatto, in un rapporto sensitivo di chi guarda, ed infine in un rapporto formativo con la fantasia e la cultura. Perché parliamo di “rapporto umano” fra la macchina e chi è in contatto con essa? Perché l’operaio sente che si è inserito fra lui e la macchina qualcosa che appartiene alla fantasia, all’arte, al gusto, all’immaginazione, ad un mondo intellettivo umano, e che quindi non si tratta più di una sua presenza esclusivamente produttiva in un mondo esclusivamente produttivo. Egli, con questo intervento lirico del colore, vive ed opera finalmente in un mondo che serve sì alla produzione, ma che partecipa anche a qualche altra cosa, fuori e sopra di essa, qualcosa che ha per vocazione la gioia. Questo inserimento di un fattore di gioia da gustare col senso della vista, è un rapporto nuovo fra la macchina e l’uomo, col quale la macchina si inserisce nella vita degli uomini non più come elemento o simbolo di costrizione, non più come fatale imbruttimento d’ogni ambiente per essergli estranea ed indifferente, ma con una partecipazione alla bellezza ed attraverso un atto di immaginazione e di volontà gioiosa.
Guardate questi trasformatori all’aperto, con i loro bellissimi colori, con la nuova parentela col cielo, col sole, con la luce, e coi colori della natura. Prima avevano una oscura e grigia parentela solo con un fatto produttivo e tecnico. Oggi entrano, non romanticamente ma sinceramente, nel pittoresco del mondo, eccitano un piacere visivo, un interesse umano. Di fronte a spettacoli moderni come questi, di fronte a belle fabbriche e belli opifici, noi non passiamo più con la triste indifferenza che ci ispiravano i vecchi edifici industriali: non passiamo più oltre dicendo “è un opificio”, “è una fabbrica” o “è una centrale”: noi ci fermiamo, eccitati, e scopriamo un mondo nuovo che è poi il nostro mondo, che si esprime finalmente e si rivela. Il fatto industriale, il fatto meccanico non è un fatto normale, come s’è creduto, è un fatto fantastico, un fatto nuovo di questi due secoli, un fatto apparentato ai “miracoli” della tecnica: dobbiamo riabituarci all’idea che questo, il miracolo della tecnica, non è un luogo comune, ma è una realtà fantastica della nostra vita. Il colore redimerà nella gioia gli ingombri delle costruzioni. E impareremo ad impiegarlo, o torneremo istintivi e felici nell’impiegarlo». (Gio Ponti, Perché presentiamo una centrale elettrica, in «Domus», n. 294, maggio 1954, pp. 1-6).

«Finestrate della sala di governo. Le finestrate ricavate fra i pilastri del fronte Nord in corrispondenza della sala di governo, furono studiate con particolare attenzione al problema della pulizia dei campi meno accessibili.
Ogni finestra è costituita da tre elementi sovrapposti, suddivisi da travature di collegamento orizzontale, di cui uno altresì predisposto per sostenere la rotaia del carro ponte.
Gli elementi sono leggermente inclinati rispetto alla verticale, così da essere in parte protetti dallo spessore delle dette travature e così da poter essere lavati per mezzo di lance inserite in apposite bocche praticate nei risvolti orizzontali delle travature stesse. La salita a tali ponti avviene con scala alla marinara installata in apposita tromba ricavata entro le strutture murarie interposte tra pilastro e pilastro.
[…] Porta a bussola e cancello ribaltabile all’ingresso uffici
La porta è costituita da doppio serramento vetrato con montanti metallici in profilati speciali e riporti parziali di lastre sagomate di lega inossidabile. I pannelli sopraluce sono posti soltanto in corrispondenza del serramento interno, così da creare uno spazio libero superiormente al cielo vetrato della bussola di transito. Il cancello esterno di sicurezza si ribalta in parte entro lo spazio di cui sopra ed in parte si protende sino a tutto l’aggetto di una pensilina esterna in cemento armato.
[…] Serramenti metallici e dispositivi frangisole e di sicurezza ad alette metalliche a bilico regolabile pe il corpo uffici. Tutto il fronte degli uffici, esposto a ponente, fu protetto con dei sistemi regolabili di alette metalliche a bilico. Ciascun campo della struttura portante consta di un parapetto di vetro-cemento e di una soletta davanzale sui cui bordi sono disposti, all’interno, il serramento metallico vetrato, ed all’esterno, il sistema ad alette a bilico. La larghezza del davanzale permette di sfruttare il vano inferiore per l’installazione dei radiatori e quello superiore per il passo d’uomo occorrente agli addetti alla pulizia delle vetrate. […] Le alette frangi-sole, a sezione appositamente studiata con ondulazioni e risvolti di irrigidimento costituenti opportune battute, sono imperniate sull’asse orizzontale e comandate con alberi verticali. Il movimento è assicurato con apparecchio a manovella all’interno». (Gino Levi-Montalcini, Apparecchiature speciali progettate per la S.I.P. – Centrale Termoelettrica di Chivasso - Architetti M. Passanti, G. Levi-Montalcini e P. Ceresa, in «Atti e rassegna tecnica della Società degli ingegneri e degli architetti in Torino», n. 12, dicembre 1953, pp. 489-491).

«Sorta su un terreno di 20 ettari per alimentare il crescente fabbisogno della città di Torino, questa grande centrale termoelettrica, tecnologicamente all’avanguardia per i tempi, accosta alle geometrie mosse delle ciminiere e degli impianti per il movimento dei carboni i volumi netti ed eleganti dei locali macchine e della palazzina uffici. Il colore investe l’esterno e l’interno degli edifici, fino alle macchine e alle tubazioni, creando ambienti di inaspettata ricchezza». (Emanuele Levi Montalcini, Anna Maritano, Levi Montalcini e Torino/Levi Montalcini and Turin (165), in «Domus», n. 824, marzo 2000, pp. 113-120). Traduzione inglese: sì.

«Negli anni quaranta e all’inizio degli anni cinquanta, capita a Levi-Montalcini di progettare tre edifici industriali di un certo rilievo, che sono tra le sue opere più belle: da un lato alcuni impianti (e in particolare la torre-bollitore della cellulosa) per le cartiere Giacomo Bosso di Lanzo Torinese, del 1942; dall’altro, sempre per le cartiere, la Centrale idroelettrica Gran Prà di Ceres, del 1947-1948; infine un’altra centrale, questa volta di tipo termoelettrico, per la Società SIP a Chivasso, del 1950-1954; le prime due opere con Paolo Ceresa, la terza Con Paolo Ceresa e Mario Passanti. Sui primi due interventi Levi-Montalcini non ha da spendere troppe parole e le relazioni e gli scritti sono spiegazioni tecniche asciutte, nelle quali viene descritto il funzionamento tecnico e macchinistico degli impianti, mai il gioco plastico. Sulla Centrale di Chivasso, viceversa, oltre che descrizioni particolari costruisce un ragionamento ideologico di una certa portata. Gli edifici tecnici o destinati alla produzione avevano avuto per i razionalisti un valore altamente emblematico: in essi, il rapporto tra diagramma delle attività e disposizione delle forme sembrava porsi in modo più lineare e obbligato che altrove, sino a identificarsi con la “ragione” dell’architettura. Così che l’edificio industriale si situava in una particolare dimensione ideale e normativa e tendeva di fatto a definire per estensione i caratteri dell’architettura moderna. Levi-Montalcini, mi sembra, dà un’interpretazione al fondo diversa: degli edifici industriali coglie soprattutto un carattere inevitabile e ricorrente, che è il loro scarso riferimento alle misure umane, il loro confinarsi in una dimensione separata dai gesti e dal loro significato. È questo che ne determina l’astrattezza; questo che li rende oggetto di un’esplorazione monumentale e straniata della forma. Di questa monumentalità dà un’interpretazione plastica e potente. È evidente che in questa scelta v’è memoria dell’esperienza futurista e della sua intuizione, che è quella delle potenzialità plastiche del mondo produttivo: in esso, la costruzione formale nasce sempre da un processo di imbrigliamento della “forza”. Essa viene imprigionata e dominata e si traduce nella tensione dei volumi e nei contrasti di materia.
La Centrale termoelettrica SIP di Chivasso (1950-1954)
La Centrale di Chivasso è di grande interesse non solo per gli esiti architettonici, ma per la vicenda che propone. “Su un terreno di venti ettari, confinanti con il fiume Po e il canale Cavour appena fuori Chivasso, due milioni di ore lavorative delle maestranze di quattro imprese portano alla realizzazione, tra il 1951 e il 1954, dello stabilimento destinato al primo gruppo generatore di 70 mila kW della Centrale Termoelettrica SIP, il cui funzionamento sarà reso possibile grazie a uno scambio carbone-manodopera tra Belgio e Italia. Il programma funzionale è elaborato alla fine degli anni quaranta dagli ingegneri dell'azienda, con la consulenza della società americana Gilbert”.
A Ferruccio Grassi viene chiesto il progetto delle abitazioni interne al complesso, mentre per la parte industriale viene indetto nel 1951, e dunque a progetto tecnico già elaborato, un concorso vinto dal gruppo costituito da Gino Levi-Montalcini, Mario Passanti e Paolo Ceresa, ma dove agli architetti è attribuito un ruolo limitato: un ruolo confinato al "campo estetico" e che doveva risolversi nell'affinamento e nell'abbellimento degli impianti, occupandosi ad esempio di colore e di dettagli, e che solo grazie all'impegno e all'abilità degli architetti sembra dilatarsi sino a investire aspetti generali della formalizzazione. “Nel nostro caso, essendosi precedentemente già verificata la disposizione planimetrica dei vari corpi e la loro stessa configurazione volumetrica, l'intervento non ebbe altre opportunità fuorché quelle di scindere dal complesso il corpo a destinazione magazzino materiali leggeri ed officine, anche per assicurare un passaggio coperto di disimpegno e scarico. Ebbe invece libertà di ideazione la pensilina esterna di stazionamento delle vetture. L'intervento dell'architetto è quindi sollecitato quando l'ossatura dell'edificio ha già una sua configurazione pressoché definita ed il controllo delle sue proporzioni non potrà più conseguire altro che rielaborazioni parziali”.
E tuttavia l'intervento "dell'architetto" riesce a pesare. Il desiderio dei tre di "lasciare in evidenza le strutture portanti" non può essere realizzato, sia per i caratteri e i limiti del progetto strutturale, sia per l'opportunità di rivestire le pareti con un mosaico "vetroso" che le protegga dalla sporcizia e dall'inquinamento. Ma i giochi delle partiture e i trattamenti superficiali vengono calibrati con sapienza; le superfici rese vibranti; al colore e ai contrasti di materiale attribuito un peso decisivo; la distribuzione interna rivista; resi nitidi i rapporti tra le parti del complesso; i dettagli risolti con perizia e raffinatezza. La sola parte realmente progettata e controllata, cioè la palazzina per uffici, oltre che la pensilina per le auto, viene assimilata all'insieme e risolta in volume sostituendo il gioco delle aperture con superfici rese vibranti dalle "alette metalliche" di protezione dal sole e dalle intrusioni. L'esito complessivo è quello di una sorta di astrazione tecnica e insieme di monumentalizzazione». (Daniele Vitale, Gino Levi-Montalcini e l’architettura torinese, in AA.VV, Gino Levi Montalcini. Architetture, disegni e scritti, numero monografico, «Atti e Rassegna Tecnica della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino», Nuova serie, n. 2, anno 136, dicembre 2003, pp. 54-55).

«[…] Il progetto, con Mario Passanti e Paolo Ceresa, della centrale elettrica di Chivasso riveste una particolare importanza a questo proposito. “La battaglia per il colore totale” rappresenterà la reazione quasi paradigmatica all’architettura razionale che proprio il colore aveva rigorosamente bandito da ogni sua espressione». (Michela Rosso, Scritti per una riconsiderazione del lavoro di Gino Levi-Montalcini 1945-1959, in AA.VV, Gino Levi Montalcini. Architetture, disegni e scritti, numero monografico, «Atti e Rassegna Tecnica della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino», Nuova serie, n. 2, anno 136, dicembre 2003, p. 72).

«Del complesso oggi rimangono solo alcune porzioni, a memoria di un’architettura di eccezionale valore, come testimoniano le pagine della pubblicistica coeva. “Oltre alla sua bellezza e importanza” scrive Gio Ponti, per spiegare ai suoi lettori le ragioni per cui ha pensato di presentare una centrale elettrica in una rivista di architettura, quest’opera va compresa “nel colore, che qui è in funzione di un’altra cosa, è in funzione del rapporto tra l’uomo e la macchina” (Ponti 1954). Ponti si riferisce agli elementi tecnici componenti della centrale, le turbine, i tubi ecc. dipinti in colori vivaci (giallo, rosso, blu, verde) che caratterizzavano l’opera in origine, poi trasformata». (Maria Adriana Giusti, Rosa Tamborrino, Guida all’architettura del Novecento in Piemonte, Allemandi, Torino 2008, p. 164-165) Traduzione inglese: sì

« […] “Sono stati adottati, nella verniciatura, i colori “funzionali” stabiliti dal codice internazionale, per designare visibilmente, come in un grandioso plastico, i diversi compiti dei vari elementi dell’impianto. Ad esempio sono di colore azzurro i tubi percorsi dall’aria, il verde indica l’acqua, il rosso il vapore, il giallo il metano, il marrone la nafta. Ne risultano contrasti pittoreschi di viva sorprendente efficacia; gli ambienti di lavoro perdono della loro consueta austerità e monotonia, viene tenuta desta la stessa attenzione dei tecnici e degli operai e in qualche modo rallegrata la loro fatica” (Solenne inaugurazione a Chivasso, in «Elettrosip», n. 11-12, anno VII, novembre-dicembre 1954, p. 1)”.
[…] Abbiamo riportato… una frase tratta dall’articolo di Gio Ponti nella quale l’autore legge nel progetto della Centrale di Chivasso un esempio della capacità di recupero del “lirismo della nostra realtà: non lo stesso potremmo dire oggi di fronte alla demolizione di uno dei due caselli di ingresso alla Centrale, sostituita da un dozzinale prefabbricato o di fronte alla demolizione delle palazzine d’abitazione che costituivano insieme ai caselli specchiati, l’ingresso “urbano” al complesso industriale.
[…] Ci si domanda cosa sia accaduto dagli anni in cui, su una rivista non certo dedicata ai temi dell’architettura quale quella della SIP, l’impianto urbanistico della Centrale di Chivasso, l’attenzione ai rapporti dimensionali tra i vari corpi edificati e l’uso del colore venivano riconosciuti chiaramente quali elementi di valore del progetto: perché oggi, in mezzo a tanto rumore mediatico intorno ai temi dell’architettura, quella stessa sensibilità non è più presente e con totale noncuranza si possono abbattere edifici che solo l’incultura può non far riconoscere quali elementi importanti nella costruzione della città e della storia della cultura architettonica italiana? Insieme al casello d’ingresso, poco prima, sono state abbattute anche tutte le residenze che facevano ad esso corona: le palazzine per gli operai e quelle per i tecnici, il cosiddetto “Borgo SIP”. Anche per questo complesso – monumento del moderno” come suole dirsi – siamo a lamentare l’ennesima perdita secca e l’ennesimo esempio di deresponsabilizzazione proprio di quelle istituzioni che invece dovrebbero assumere una chiara posizione pubblica di tutela e conservazione». (Chiara Occelli, Lo specchio infranto. La centrale termoelettrica SIP (oggi Edipower) di Chivasso (1951-1954), in «’ANANKE» n. 71, gennaio 2014, pp. 26-29)


2. Consistenza dell’opera al 2019/Stato attuale
La centrale ha subito numerose trasformazioni: l’ampliamento del fabbricato principale, la demolizione delle originarie ciminiere, la realizzazione di un nuovo ingresso, la demolizione di uno dei due caselli. Durante il sopralluogo, non si è potuto oltrepassare il cancello d’ingresso, né visitare della centrale.


(Scheda a cura di Carolina Crozzolin, Guido Pavia, con Gentucca Canella, DAD -Politecnico di Torino)

Info
  • Progetto: 1950 -
  • Esecuzione: - 1952
  • Committente: SIP (ing. Luigi Selmo, direttore generale)
  • Proprietà: Proprietà privata
  • Destinazione originaria: Centrale termoelettrica
  • Destinazione attuale: Centrale termoelettrica a ciclo combinato
Autori
Nome Cognome Ruolo Fase Progetto Archivio Architetti Url Profilo Autore Principale
Paolo Ceresa Progetto architettonico Progetto SI
Gino Levi Montalcini Progetto architettonico Progetto Visualizza Profilo https://www.treccani.it/enciclopedia/gino-levi-montalcini/ SI
Mario Passanti Progetto architettonico Progetto Visualizza Profilo https://www.museotorino.it/view/s/daf8e795ce0e4f23bcd7612e45c59832 SI
  • Materiale di facciata: Rivestimento in tessere di vetro colore turchese, con giunti in profilato di anticorodal
  • Coperture: Copertura piana
  • Serramenti: Infissi in lamiera piegata. Le finestre degli uffici hanno parapetto a filo esterno in vetro cemento e serramenti metallici con dispositivi frangisole e di sicurezza ad alette metalliche a bilico regolabile
  • Stato Strutture: Buono
  • Stato Materiale di facciata: Buono
  • Stato Coperture: Buono
  • Stato Serramenti: Buono

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«Non avremmo insistito per presentare questa centrale se in questo lavoro di Levi Montalcini, Ceresa e Passanti per i nuovi grandi impianti della S.I.P. non avessimo sentito un significato particolare, che va oltre la sua stessa bellezza ed importanza. Quale significato? L’ingresso del colore anche in questo settore del lavoro. Migliora o si incrementa la produzione della energia elettrica se le apparecchiature sono colorate o no? Né migliora, né si incrementa, e sotto questo punto di vista i colori non sono necessari, e la efficienza produttivistica esaurisce il proprio servizio di impiego e di reddito senza di essi. Perché qui il colore è in funzione di un’altra cosa, è in funzione del rapporto fra l’uomo e la macchina, in un rapporto umano di chi ne è in continuo contatto, in un rapporto sensitivo di chi guarda, ed infine in un rapporto formativo con la fantasia e la cultura. Perché parliamo di “rapporto umano” fra la macchina e chi è in contatto con essa? Perché l’operaio sente che si è inserito fra lui e la macchina qualcosa che appartiene alla fantasia, all’arte, al gusto, all’immaginazione, ad un mondo intellettivo umano, e che quindi non si tratta più di una sua presenza esclusivamente produttiva in un mondo esclusivamente produttivo. Egli, con questo intervento lirico del colore, vive ed opera finalmente in un mondo che serve sì alla produzione, ma che partecipa anche a qualche altra cosa, fuori e sopra di essa, qualcosa che ha per vocazione la gioia. Questo inserimento di un fattore di gioia da gustare col senso della vista, è un rapporto nuovo fra la macchina e l’uomo, col quale la macchina si inserisce nella vita degli uomini non più come elemento o simbolo di costrizione, non più come fatale imbruttimento d’ogni ambiente per essergli estranea ed indifferente, ma con una partecipazione alla bellezza ed attraverso un atto di immaginazione e di volontà gioiosa. 
Guardate questi trasformatori all’aperto, con i loro bellissimi colori, con la nuova parentela col cielo, col sole, con la luce, e coi colori della natura. Prima avevano una oscura e grigia parentela solo con un fatto produttivo e tecnico. Oggi entrano, non romanticamente ma sinceramente, nel pittoresco del mondo, eccitano un piacere visivo, un interesse umano. Di fronte a spettacoli moderni come questi, di fronte a belle fabbriche e belli opifici, noi non passiamo più con la triste indifferenza che ci ispiravano i vecchi edifici industriali: non passiamo più oltre dicendo “è un opificio”, “è una fabbrica” o “è una centrale”: noi ci fermiamo, eccitati, e scopriamo un mondo nuovo che è poi il nostro mondo, che si esprime finalmente e si rivela. Il fatto industriale, il fatto meccanico non è un fatto normale, come s’è creduto, è un fatto fantastico, un fatto nuovo di questi due secoli, un fatto apparentato ai “miracoli” della tecnica: dobbiamo riabituarci all’idea che questo, il miracolo della tecnica, non è un luogo comune, ma è una realtà fantastica della nostra vita. Il colore redimerà nella gioia gli ingombri delle costruzioni. E impareremo ad impiegarlo, o torneremo istintivi e felici nell’impiegarlo». (Gio Ponti, Perché presentiamo una centrale elettrica, in «Domus», n. 294, maggio 1954, pp. 1-6).

«Finestrate della sala di governo. Le finestrate ricavate fra i pilastri del fronte Nord in corrispondenza della sala di governo, furono studiate con particolare attenzione al problema della pulizia dei campi meno accessibili.
Ogni finestra è costituita da tre elementi sovrapposti, suddivisi da travature di collegamento orizzontale, di cui uno altresì predisposto per sostenere la rotaia del carro ponte.
Gli elementi sono leggermente inclinati rispetto alla verticale, così da essere in parte protetti dallo spessore delle dette travature e così da poter essere lavati per mezzo di lance inserite in apposite bocche praticate nei risvolti orizzontali delle travature stesse. La salita a tali ponti avviene con scala alla marinara installata in apposita tromba ricavata entro le strutture murarie interposte tra pilastro e pilastro.
[…] Porta a bussola e cancello ribaltabile all’ingresso uffici
La porta è costituita da doppio serramento vetrato con montanti metallici in profilati speciali e riporti parziali di lastre sagomate di lega inossidabile. I pannelli sopraluce sono posti soltanto in corrispondenza del serramento interno, così da creare uno spazio libero superiormente al cielo vetrato della bussola di transito. Il cancello esterno di sicurezza si ribalta in parte entro lo spazio di cui sopra ed in parte si protende sino a tutto l’aggetto di una pensilina esterna in cemento armato. 
[…] Serramenti metallici e dispositivi frangisole e di sicurezza ad alette metalliche a bilico regolabile pe il corpo uffici. Tutto il fronte degli uffici, esposto a ponente, fu protetto con dei sistemi regolabili di alette metalliche a bilico. Ciascun campo della struttura portante consta di un parapetto di vetro-cemento e di una soletta davanzale sui cui bordi sono disposti, all’interno, il serramento metallico vetrato, ed all’esterno, il sistema ad alette a bilico. La larghezza del davanzale permette di sfruttare il vano inferiore per l’installazione dei radiatori e quello superiore per il passo d’uomo occorrente agli addetti alla pulizia delle vetrate. […] Le alette frangi-sole, a sezione appositamente studiata con ondulazioni e risvolti di irrigidimento costituenti opportune battute, sono imperniate sull’asse orizzontale e comandate con alberi verticali. Il movimento è assicurato con apparecchio a manovella all’interno». (Gino Levi-Montalcini, Apparecchiature speciali progettate per la S.I.P. – Centrale Termoelettrica di Chivasso - Architetti M. Passanti, G. Levi-Montalcini e P. Ceresa, in «Atti e rassegna tecnica della Società degli ingegneri e degli architetti in Torino», n. 12, dicembre 1953, pp. 489-491).

«Sorta su un terreno di 20 ettari per alimentare il crescente fabbisogno della città di Torino, questa grande centrale termoelettrica, tecnologicamente all’avanguardia per i tempi, accosta alle geometrie mosse delle ciminiere e degli impianti per il movimento dei carboni i volumi netti ed eleganti dei locali macchine e della palazzina uffici. Il colore investe l’esterno e l’interno degli edifici, fino alle macchine e alle tubazioni, creando ambienti di inaspettata ricchezza».  (Emanuele Levi Montalcini, Anna Maritano, Levi Montalcini e Torino/Levi Montalcini and Turin (165), in «Domus», n. 824, marzo 2000, pp. 113-120). Traduzione inglese: sì.

«Negli anni quaranta e all’inizio degli anni cinquanta, capita a Levi-Montalcini di progettare tre edifici industriali di un certo rilievo, che sono tra le sue opere più belle: da un lato alcuni impianti (e in particolare la torre-bollitore della cellulosa) per le cartiere Giacomo Bosso di Lanzo Torinese, del 1942; dall’altro, sempre per le cartiere, la Centrale idroelettrica Gran Prà di Ceres, del 1947-1948; infine un’altra centrale, questa volta di tipo termoelettrico, per la Società SIP a Chivasso, del 1950-1954; le prime due opere con Paolo Ceresa, la terza Con Paolo Ceresa e Mario Passanti. Sui primi due interventi Levi-Montalcini non ha da spendere troppe parole e le relazioni e gli scritti sono spiegazioni tecniche asciutte, nelle quali viene descritto il funzionamento tecnico e macchinistico degli impianti, mai il gioco plastico. Sulla Centrale di Chivasso, viceversa, oltre che descrizioni particolari costruisce un ragionamento ideologico di una certa portata. Gli edifici tecnici o destinati alla produzione avevano avuto per i razionalisti un valore altamente emblematico: in essi, il rapporto tra diagramma delle attività e disposizione delle forme sembrava porsi in modo più lineare e obbligato che altrove, sino a identificarsi con la “ragione” dell’architettura. Così che l’edificio industriale si situava in una particolare dimensione ideale e normativa e tendeva di fatto a definire per estensione i caratteri dell’architettura moderna. Levi-Montalcini, mi sembra, dà un’interpretazione al fondo diversa: degli edifici industriali coglie soprattutto un carattere inevitabile e ricorrente, che è il loro scarso riferimento alle misure umane, il loro confinarsi in una dimensione separata dai gesti e dal loro significato. È questo che ne determina l’astrattezza; questo che li rende oggetto di un’esplorazione monumentale e straniata della forma. Di questa monumentalità dà un’interpretazione plastica e potente. È evidente che in questa scelta v’è memoria dell’esperienza futurista e della sua intuizione, che è quella delle potenzialità plastiche del mondo produttivo: in esso, la costruzione formale nasce sempre da un processo di imbrigliamento della “forza”. Essa viene imprigionata e dominata e si traduce nella tensione dei volumi e nei contrasti di materia.  
La Centrale termoelettrica SIP di Chivasso (1950-1954)
La Centrale di Chivasso è di grande interesse non solo per gli esiti architettonici, ma per la vicenda che propone. “Su un terreno di venti ettari, confinanti con il fiume Po e il canale Cavour appena fuori Chivasso, due milioni di ore lavorative delle maestranze di quattro imprese portano alla realizzazione, tra il 1951 e il 1954, dello stabilimento destinato al primo gruppo generatore di 70 mila kW della Centrale Termoelettrica SIP, il cui funzionamento sarà reso possibile grazie a uno scambio carbone-manodopera tra Belgio e Italia. Il programma funzionale è elaborato alla fine degli anni quaranta dagli ingegneri dell'azienda, con la consulenza della società americana Gilbert”. 
A Ferruccio Grassi viene chiesto il progetto delle abitazioni interne al complesso, mentre per la parte industriale viene indetto nel 1951, e dunque a progetto tecnico già elaborato, un concorso vinto dal gruppo costituito da Gino Levi-Montalcini, Mario Passanti e Paolo Ceresa, ma dove agli architetti è attribuito un ruolo limitato: un ruolo confinato al "campo estetico" e che doveva risolversi nell'affinamento e nell'abbellimento degli impianti, occupandosi ad esempio di colore e di dettagli, e che solo grazie all'impegno e all'abilità degli architetti sembra dilatarsi sino a investire aspetti generali della formalizzazione. “Nel nostro caso, essendosi precedentemente già verificata la disposizione planimetrica dei vari corpi e la loro stessa configurazione volumetrica, l'intervento non ebbe altre opportunità fuorché quelle di scindere dal complesso il corpo a destinazione magazzino materiali leggeri ed officine, anche per assicurare un passaggio coperto di disimpegno e scarico. Ebbe invece libertà di ideazione la pensilina esterna di stazionamento delle vetture. L'intervento dell'architetto è quindi sollecitato quando l'ossatura dell'edificio ha già una sua configurazione pressoché definita ed il controllo delle sue proporzioni non potrà più conseguire altro che rielaborazioni parziali”. 
E tuttavia l'intervento "dell'architetto" riesce a pesare. Il desiderio dei tre di "lasciare in evidenza le strutture portanti" non può essere realizzato, sia per i caratteri e i limiti del progetto strutturale, sia per l'opportunità di rivestire le pareti con un mosaico "vetroso" che le protegga dalla sporcizia e dall'inquinamento. Ma i giochi delle partiture e i trattamenti superficiali vengono calibrati con sapienza; le superfici rese vibranti; al colore e ai contrasti di materiale attribuito un peso decisivo; la distribuzione interna rivista; resi nitidi i rapporti tra le parti del complesso; i dettagli risolti con perizia e raffinatezza. La sola parte realmente progettata e controllata, cioè la palazzina per uffici, oltre che la pensilina per le auto, viene assimilata all'insieme e risolta in volume sostituendo il gioco delle aperture con superfici rese vibranti dalle "alette metalliche" di protezione dal sole e dalle intrusioni. L'esito complessivo è quello di una sorta di astrazione tecnica e insieme di monumentalizzazione». (Daniele Vitale, Gino Levi-Montalcini e l’architettura torinese, in AA.VV, Gino Levi Montalcini. Architetture, disegni e scritti, numero monografico, «Atti e Rassegna Tecnica della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino», Nuova serie, n. 2, anno 136, dicembre 2003, pp. 54-55).

«[…] Il progetto, con Mario Passanti e Paolo Ceresa, della centrale elettrica di Chivasso riveste una particolare importanza a questo proposito. “La battaglia per il colore totale” rappresenterà la reazione quasi paradigmatica all’architettura razionale che proprio il colore aveva rigorosamente bandito da ogni sua espressione». (Michela Rosso, Scritti per una riconsiderazione del lavoro di Gino Levi-Montalcini 1945-1959, in AA.VV, Gino Levi Montalcini. Architetture, disegni e scritti, numero monografico, «Atti e Rassegna Tecnica della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino», Nuova serie, n. 2, anno 136, dicembre 2003, p. 72).

«Del complesso oggi rimangono solo alcune porzioni, a memoria di un’architettura di eccezionale valore, come testimoniano le pagine della pubblicistica coeva. “Oltre alla sua bellezza e importanza” scrive Gio Ponti, per spiegare ai suoi lettori le ragioni per cui ha pensato di presentare una centrale elettrica in una rivista di architettura, quest’opera va compresa “nel colore, che qui è in funzione di un’altra cosa, è in funzione del rapporto tra l’uomo e la macchina” (Ponti 1954). Ponti si riferisce agli elementi tecnici componenti della centrale, le turbine, i tubi ecc. dipinti in colori vivaci (giallo, rosso, blu, verde) che caratterizzavano l’opera in origine, poi trasformata». (Maria Adriana Giusti, Rosa Tamborrino, Guida all’architettura del Novecento in Piemonte, Allemandi, Torino 2008, p. 164-165) Traduzione inglese: sì

« […] “Sono stati adottati, nella verniciatura, i colori “funzionali” stabiliti dal codice internazionale, per designare visibilmente, come in un grandioso plastico, i diversi compiti dei vari elementi dell’impianto. Ad esempio sono di colore azzurro i tubi percorsi dall’aria, il verde indica l’acqua, il rosso il vapore, il giallo il metano, il marrone la nafta. Ne risultano contrasti pittoreschi di viva sorprendente efficacia; gli ambienti di lavoro perdono della loro consueta austerità e monotonia, viene tenuta desta la stessa attenzione dei tecnici e degli operai e in qualche modo rallegrata la loro fatica” (Solenne inaugurazione a Chivasso, in «Elettrosip», n. 11-12, anno VII, novembre-dicembre 1954, p. 1)”.
[…] Abbiamo riportato… una frase tratta dall’articolo di Gio Ponti nella quale l’autore legge nel progetto della Centrale di Chivasso un esempio della capacità di recupero del “lirismo della nostra realtà: non lo stesso potremmo dire oggi di fronte alla demolizione di uno dei due caselli di ingresso alla Centrale, sostituita da un dozzinale prefabbricato o di fronte alla demolizione delle palazzine d’abitazione che costituivano insieme ai caselli specchiati, l’ingresso “urbano” al complesso industriale.
[…] Ci si domanda cosa sia accaduto dagli anni in cui, su una rivista non certo dedicata ai temi dell’architettura quale quella della SIP, l’impianto urbanistico della Centrale di Chivasso, l’attenzione ai rapporti dimensionali tra i vari corpi edificati e l’uso del colore venivano riconosciuti chiaramente quali elementi di valore del progetto: perché oggi, in mezzo a tanto rumore mediatico intorno ai temi dell’architettura, quella stessa sensibilità non è più presente e con totale noncuranza si possono abbattere edifici che solo l’incultura può non far riconoscere quali elementi importanti nella costruzione della città e della storia della cultura architettonica italiana? Insieme al casello d’ingresso, poco prima, sono state abbattute anche tutte le residenze che facevano ad esso corona: le palazzine per gli operai e quelle per i tecnici, il cosiddetto “Borgo SIP”. Anche per questo complesso – monumento del moderno” come suole dirsi – siamo a lamentare l’ennesima perdita secca e l’ennesimo esempio di deresponsabilizzazione proprio di quelle istituzioni che invece dovrebbero assumere una chiara posizione pubblica di tutela e conservazione». (Chiara Occelli, Lo specchio infranto. La centrale termoelettrica SIP (oggi Edipower) di Chivasso (1951-1954), in «’ANANKE» n. 71, gennaio 2014, pp. 26-29)


2. Consistenza dell’opera al 2019/Stato attuale
La centrale ha subito numerose trasformazioni: l’ampliamento del fabbricato principale, la demolizione delle originarie ciminiere, la realizzazione di un nuovo ingresso, la demolizione di uno dei due caselli. Durante il sopralluogo, non si è potuto oltrepassare il cancello d’ingresso, né visitare della centrale.


(Scheda a cura di Carolina Crozzolin, Guido Pavia, con Gentucca Canella, DAD -Politecnico di Torino)
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Note

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Bibliografia
Autore Anno Titolo Edizione Luogo Edizione Pagina Specifica
Montalcini Gino Levi 1953 Apparecchiature speciali progettate per la S.I.P. – Centrale Termoelettrica di Chivasso - Architetti M. Passanti, G. Levi-Montalcini e P. Ceresa Atti e rassegna tecnica della Società degli ingegneri e degli architetti in Torino n. 12 ,1953 489-491 No
Ponti Gio 1954 Perché presentiamo una centrale elettrica Domus n. 294 44348 No
1954 La centrale termoelettrica di Chivasso-architetti M. Passanti, G. Levi Montalcino, P. Ceresa, Metron n. 53-54 78-85 No
Levi Montalcini Emanuele, Maritano Anna 2000 Levi Montalcini e Torino/Levi Montalcini and Turin (165) Domus n. 824 113-120 No
AA.VV 2003 Gino Levi Montalcini. Architetture, disegni e scritti, numero monografico Atti e Rassegna Tecnica della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, Nuova serie n. 2 No
Giusti Maria Adriana, Tamborrino Rosa 2008 Guida all’architettura del Novecento in Piemonte (1902-2006) Allemandi Torino 164-165 No
Occelli Chiara 2014 Lo specchio infranto. La centrale termoelettrica SIP (oggi Edipower) di Chivasso (1951-1954). Architetti Mario Passanti, Gino Levi Montalcini, Paolo Ceresa ANANKE n. 71 19-29 No

Allegati
File Didascalia Credito Fotografico
Vista del fronte nord-ovest Vista del fronte nord-ovest Tratto da – Atti e Rassegna Tecnica, n. 2, 2003
Il fronte ovest della centrale con il corpo uffici e il corpo magazzini collegati da un passaggio coperto Il fronte ovest della centrale con il corpo uffici e il corpo magazzini collegati da un passaggio coperto Tratto da - Domus n. 294, 1954
Dettaglio del passaggio coperto di collegamento tra il corpo uffici e il corpo magazzini Dettaglio del passaggio coperto di collegamento tra il corpo uffici e il corpo magazzini Tratto da - Domus n. 294, 1954
Scorcio del fronte ovest Scorcio del fronte ovest Archivio Paolo Ceresa
Le finestrate degli uffici hanno un parapetto a filo esterno in vetro cemento e sono protette da serramento ad alette frangisole regolabili Le finestrate degli uffici hanno un parapetto a filo esterno in vetro cemento e sono protette da serramento ad alette frangisole regolabili Tratto da - Domus n. 294, 1954
L’ingresso al corpo degli uffici: il cancello metallico librato orizzontalmente sotto la pensilina ha un movimento di chiusura a bilico L’ingresso al corpo degli uffici: il cancello metallico librato orizzontalmente sotto la pensilina ha un movimento di chiusura a bilico Tratto da - Domus n. 294, 1954
Porta a bussola e cancello ribaltabile all’ingresso degli uffici Porta a bussola e cancello ribaltabile all’ingresso degli uffici Tratto da – Atti e rassegna tecnica, n. 12, 1953
Le finestrate ricavate fra i pilastri del fronte nord in corrispondenza della sala di governo Le finestrate ricavate fra i pilastri del fronte nord in corrispondenza della sala di governo Tratto da – Atti e rassegna tecnica, n. 12, 1953
Tramogge e bilance carbone, dipinte con colori Max Meyer Tramogge e bilance carbone, dipinte con colori Max Meyer Tratto da – Domus n. 294, 1954
Passerella tra le due caldaie Passerella tra le due caldaie Tratto da – Domus n. 294, 1954
Tubazioni d’acqua Tubazioni d’acqua Tratto da – Domus n. 294, 1954
Caldaie e condotti carbone polverizzato Caldaie e condotti carbone polverizzato Tratto da – Domus n. 294, 1954
Preriscaldatori d’acqua d’alimento Preriscaldatori d’acqua d’alimento Tratto da – Domus n. 294, 1954
Mulini polverizzatori e tubazioni d’acqua Mulini polverizzatori e tubazioni d’acqua Tratto da – Domus n. 294, 1954
Vista del fronte nord-ovest, 2019 Vista del fronte nord-ovest, 2019 Carolina Crozzolin - 2019
Ortofoto, 2020 Ortofoto, 2020 Google maps - 2020

Criteri
2. L’edificio o l’opera di architettura è illustrata in almeno due riviste di architettura di livello nazionale e/o internazionale.
3. L’edificio o l’opera di architettura ha una riconosciuta importanza nel panorama dell’architettura nazionale, degli anni nei quali è stata costruita, anche in relazione ai contemporanei sviluppi sia del dibattito, sia della ricerca architettonica nazionale e internazionale,
4. L’edificio o l’opera di architettura riveste un ruolo significativo nell’ambito dell’evoluzione del tipo edilizio di pertinenza, ne offre un’interpretazione progressiva o sperimenta innovazioni di carattere distributivo e funzionale.
5. L’edificio o l’opera di architettura introduce e sperimenta significative innovazioni nell’uso dei materiali o nell’applicazione delle tecnologie costruttive.
6. L’edificio o l’opera di architettura è stata progettata da una figura di rilievo nel panorama dell’architettura nazionale e/o internazionale.

Crediti Scheda
Enti di riferimento: DGAAP - Segretariato Regionale per il Piemonte
Titolare della ricerca: Politecnico Torino Dipartimento Architettura e Design
Responsabile scientifico: Maria Adriana Giusti, Gentucca Canella (DAD)


Scheda redatta da Carolina Crozzolin, Guido Pavia, con Gentucca Canella
creata il 31/12/2004
ultima modifica il 08/05/2024

Revisori:

Mezzino Davide 2021